24 mercoledì Apr 2013

Quel successo fa per me

successoIl mese scorso abbiamo descritto i meccanismi con i quali solitamente ci inganniamo, distorcendo il senso degli eventi o attribuendo significati arbitrari ad alcune situazioni che viviamo.
In particolare abbiamo approfondito le dinamiche con le quali, a volte, sabotiamo i nostri sogni e le nostre aspirazioni, condannandoci a vivere dimensioni lavorative o private che non ci soddisfano.
In sintesi abbiamo capito che possiamo osare sempre molto di più’, rispetto ai limiti che ci poniamo, a patto di non lasciarci offendere dai piccoli “incidenti sul percorso” o dalle risposte frustranti, che inevitabilmente lastricano qualsiasi percorso di realizzazione personale.
Anthony Robbins, uno dei “guru” americani della formazione, nel suo primo libro, riporta in sintesi la carriera di Abraham Lincoln, uno dei più importanti e noti presidenti degli Stati Uniti, evidenziandone una serie di insuccessi – fallimento negli affari personali, bocciatura alle elezioni, al Congresso, al Senato, persino nella corsa per la Vicepresidenza – difficilmente attribuibili all’uomo che in seguito sarebbe divenuto il 16° Presidente americano. In effetti la maggior parte degli uomini che hanno raggiunto la posizione a cui aspiravano, in qualsiasi campo, sono persone che hanno avuto la perseveranza di andare avanti a dispetto di qualsiasi parziale insuccesso. Sono individui che hanno considerato gli incidenti sul percorso, non come fallimenti, ma semplicemente come dei risultati, certo non voluti, ma comunque utili per “raddrizzare il tiro”. La differenza sta tutta qui, ma non è poco.

Come sapere quando ne vale la pena

Per quali motivi, quindi, alcuni hanno la forza di perseverare e altri desistono identificandosi nei fallimenti?
Robert Dilts, uno dei maggiori esponenti della scuola americana NLP (Programmazione Neurolinguistica), ha teorizzato, rielaborando la concezione dei livelli logici di un grandissimo antropologo, Gregory Bateson, che l’essere umano, per essere “ felicemente produttivo” debba necessariamente vivere in armonia con le proprie scelte. Non vivere quindi conflitti tra valori, convinzioni e comportamenti. Tornando quindi alla nostra domanda, possiamo dire che gli individui che non “mollano”, ci riescono non perché sono più dotati, ma, in parte, perché hanno scelto meglio i propri obiettivi. In altre parole, le persone che “ce la fanno” sono animate dalla passione, dal sogno, da una “visione” vissuta senza contraddizioni. Lo sono al punto da riuscire a trasformare ogni piccolo insuccesso, in una preziosa lezione: informazioni per fare meglio la volta dopo.
E’ la “fortuna” che capita, per esempio, a chi vive profondamente una vocazione.
Come fare, in sintesi, a capire se saremo disposti a mettere in campo tutte le risorse che abbiamo per un progetto? Un grande contributo può venire dal porci delle domande che ci aiutino ad individuare la consistenza delle nostre motivazioni.

Qual è per me il significato del raggiungere quel determinato obbiettivo?
Che tipo di persona diventerò una volta che l’avrò realizzato?
Perché è importante che arrivi a realizzare quel determinato “sogno”?
Domande fondamentali, per capire se saremo disposti a “soffrire” per arrivare alla meta, per sapere se stiamo “giocando” con la fantasia o intendiamo fare sul serio.
Appurato tutto ciò potremo partire per la nostra avventura, ma non prima di aver pensato a un piano d’azione.

Però poi ci vuole una strategia

Per raggiungere qualsiasi meta è sempre necessario individuare una serie di azioni utili.
Prima di tutto, se si tratta di un obiettivo complesso, dovremo pensare a come dividere il “boccone enorme” in diversi bocconcini. La montagna, per usare un’altra metafora, dovrà essere scalata a tappe, cercando, nel limite del possibile, di commisurare gli obiettivi intermedi alla nostra preparazione. Per frazionare il nostro macro-obiettivo in diversi step, avremo però bisogno di conoscere il contesto in cui intendiamo muoverci. Abbiamo abbastanza informazioni? Se non ne abbiamo la risorsa principale a cui attingere è la capacità di indagare, di chiedere a chiunque supponiamo ne possa sapere più di noi. Altre indicazioni potranno venire da un modello, o più, di riferimento, rispetto al settore individuato. Se vogliamo diventare dei grandi architetti, scrittori, campioni sportivi o qualsiasi altra cosa, sarà utile avere dei “miti” da imitare. Cosa hanno fatto loro?
Biografie, interviste e social network potranno essere d’aiuto per avere qualsiasi tipo di spunto, di traccia utile. Solo allora, quando avremo una visione sufficientemente chiara di come convenga “muoversi” in quello specifico ambito, potremo strutturare una strategia adeguata. Il consiglio in questi casi è quello, date le domande riportate di seguito, di scriversi le risposte, che però dovranno sempre godere del beneficio di inventario.

Nel vivo dell’azione

Ho le competenze, i titoli oggettivamente necessari, in sintesi “le carte in regola” per raggiungere il primo obiettivo e poi gli altri?
Se rispetto a questa domanda scopro di non avere le competenze o i requisiti minimi indispensabili, il mio primo compito sarà dotarmene

In che contesto-ambiente potrò raggiungere il primo obiettivo che mi sono prefisso e poi man mano, gli altri?
Per rispondere a questa domanda sarà molto utile cercare di dettagliare il più possibile la situazione come fosse un film.

Potrò farcela da solo o avrò bisogno di coinvolgere altre persone?
Anche in questo caso converrà dettagliare il più possibile la situazione, definendo, se possibile, chi esattamente dovrebbe collaborare con noi e in che modo.

Quali indicatori mi faranno capire di aver raggiunto ogni obiettivo?
Come per ogni test, avrò bisogno di decidere quali “segnali” mi confermeranno di aver raggiunto la prima tappa e di essere pronto per lo step successivo.

Quali indicatori mi faranno capire se ogni micro-obiettivo è effettivamente utile al raggiungimento della meta finale?
Quest’ultima domanda merita un commento aggiuntivo, in quanto rappresentativa dello spirito critico e flessibile che ogni scuola di comunicazione suggerisce. La flessibilità e la capacità di rimanere critici in corso d’opera sono fondamentali per una piena realizzazione. Confrontare ogni obiettivo intermedio con la meta finale è, non solo funzionale all’ottimizzazione delle proprie risorse, ma anche utilissimo per capire il senso generale di quello che stiamo facendo. Paradossalmente, una volta raggiunta la meta, potremmo scoprire che non ci interessa più o che non ci realizza nel profondo come pensavamo e ambire a qualcosa di nuovo. Ma come avremmo fatto, in quel caso, a scoprirlo se non avessimo fatto tutto il percorso?
Un’ultima precisazione per tutti coloro che trovano difficoltà a individuare una vocazione: prima di metterci in azione per il raggiungimento di una meta è auspicabile essere sicuri che sia in linea con la nostra identità e i nostri valori, ma piuttosto che rimanere nell’immobilismo -come l’asino di Buridano, che non sapendo se scegliere la paglia o il fieno morì di fame – converrà comunque muoversi per un obiettivo, diciamo quello che ci sembra, al momento, il meno peggio. Poi strada facendo le nubi potrebbero diradarsi lasciando emergere piacevoli sorprese.

Articolo di Giulio Santuz

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