Archivio della categoria: Salute

01 lunedì Feb 2016

infermiera_ospedale_FTGSono 4 gli ospedali più ‘certificati’ d’Italia (certificazione Joint Commission International, tre Bollini rosa ‘Ospedale a misura di donna, certificazione Iso e altre): l’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo (Lombardia), l’Istituto europeo di oncologia di Milano (Lombardia), l’Istituto Gianna Gaslini di Genova(Liguria) e l’Humanitas Centro catanese di oncologia di Catania (Sicilia). A rivelarlo è una sorta di nuova ‘guida Michelin’ della salute: basta cercare, in un’apposita lista di patologie, la propria malattia ed ecco che il portale www.doveecomemicuro.itindica l’ospedale o la struttura anche privata più vicina a casa e che vanta i migliori risultati clinici. Dove è possibile curarsi con maggiori probabilità di successo.

Il sito è disponibile dal primo febbraio 2016 all’indirizzo www.doveecomemicuro.it, con una grafica snella e reattiva, facile da navigare anche su tablet e smartphone. Oggi ‘Dove e come mi curo’ riparte infatti dopo una fase di rodaggio e sfruttando l’esperienza e le informazioni ottenute in due anni di lavoro ha raccolto, verificato e inserito nel database i dati di più di 1.300 strutture sanitarie nazionali accreditate, per un totale di oltre 300.000 informazioni aggiornate.

Per garantire un giudizio imparziale e dar maggior lustro alle eccellenze, un team di professionisti coadiuvati da un gruppo di ricercatori dell’Università Cattolica di Roma, ha individuato 65 indicatori di qualità clinica. Tra le fonti, il Programma nazionale valutazione esiti di Agenas-ministero della Salute.

Ecco una sintesi di alcuni degli indicatori di qualità clinica più rappresentativi e delle strutture sanitarie del territorio nazionale:

– SALUTE DELLA MAMMA E DEL BAMBINO. Gli ospedali più virtuosi si trovano in Piemonte, Sant’Anna (7497 parti l’anno), in Lombardia, ospedale Maggiore Policlinico (6130), e nel Lazio, San Pietro Fatebenefratelli (4339).

– PARTO CESAREO. Il valore soglia che segnala le strutture con una performance migliore è 20,27. Gli ospedali più virtuosi per questo indicatore sono l’ospedale Vittorio Emanuele III (5,2) in Lombardia, l’ospedale di Palmanova (6,06) in Friuli Venezia Giulia e il presidio ospedaliero Alessandro Manzoni (7,38) in Lombardia.

– INFARTO. Per analizzare la gestione di un caso si prende in considerazione il tasso di mortalità a 30 giorni dal ricovero. I più virtuosi sono l’ospedale Civile d’Agri (1,48) in Basilicata, lo Stabilimento San Bartolomeo di Sanzana (1,82) in Liguria e il presidio ospedaliero San Giacomo d’Altopasso (1,91) in Sicilia. Le strutture con tutti gli indicatori che seguono lo standard nazionale sono: presidio ospedaliero Molinette in Piemonte, ospedale Bassini in Lombardia, azienda ospedaliera universitaria Senese in Toscana, ospedale San Salvatore nelle Marche, presidio ospedaliero Giovanni Paolo II in Sicilia, presidio ospedaliero V. Cervello in Sicilia.

– TUMORI. Per il tumore del colon la performance è misurata sulla base della mortalità a 30 giorni dall’intervento. I tre ospedali più virtuosi per questo indicatore sono il Policlinico di Monserrato (0,54) in Sardegna, il Sacco (0,59) in Lombardia e l’ospedale di Circolo (0,63) in Lombardia. Un altro indicatore è il volume annuale di ricovero per intervento chirurgico. Le strutture migliori in questo caso sono il Policlinico universitario Gemelli nel Lazio, l’azienda ospedaliero universitaria Pisana in Toscana e il presidio ospedaliero Molinette in Piemonte.

Per il cancro al polmone, la performance ospedaliera è misurata sulla base della mortalità a 30 giorni dall’intervento e gli ospedali più virtuosi sono l’Azienda ospedaliera Santa Croce e Carle di Cuneo-ospedale Santa Croce (0,49) in Piemonte, il San Gerardo (0,5) in Lombardia e l’ospedale Ceccarini di Riccione (0,52) in Emilia Romagna. Per il volume annuale di ricovero per intervento chirurgico, sono l’Istituto europeo di oncologia (462) in Lombardia, l’Istituto nazionale dei tumori (353) in Lombardia e l’ospedale di Padova (286) in Veneto.

Fonte ADN KRONOS SALUTE
http://www.adnkronos.com/salute/sanita/2016/02/01/ecco-ospedali-migliori-italia-dice-michelin-della-salute_WOUW1hTfGtkLj1RhFsMu3H.html

02 mercoledì Dic 2015

GinoStrada“Ho operato migliaia di persone, ferite da proiettili, frammenti di bombe o missili. Alcuni anni fa, a Kabul, ho esaminato le cartelle cliniche di circa 1200 pazienti per scoprire che meno del 10% erano presumibilmente dei militari. Il 90% delle vittime erano civili, un terzo dei quali bambini”. Così parla della guerra, una “malattia mortale che deve essere abilita”, il chirurgo Gino Strada, fondatore di Emergency, che a Stoccolma ha ricevuto il Nobel alternativo davanti al Parlamento svedese: ilPremio Right Livelihood concepito per ‘onorare e sostenere coloro che offrono risposte pratiche ed esemplari alle maggiori sfide del nostro tempo’.

Strada, fanno sapere da Emergency, ha ricevuto il riconoscimento “per la sua grande umanità e la sua capacità di offrire assistenza medica e chirurgica di eccellenza alle vittime della guerra e dell’ingiustizia, continuando a denunciare senza paura le cause della guerra”. Quest’anno la Fondazione ha ricevuto ed esaminato 128 proposte da 53 paesi. A partire da oggi i Laureati del Premio Right Livelihood sono 162 e provengono da 67 paesi diversi. È la prima volta che il Premio viene dato a un cittadino italiano. Parlando davanti ai parlamentari svedesi, Strada ha fatto un appello speciale alla comunità internazionale: “Io sono un chirurgo. Ho visto i feriti (e i morti) di vari conflitti in Asia, Africa, Medio Oriente, America Latina e Europa. Ho operato migliaia di persone, ferite da proiettili, frammenti di bombe o missili”.

“È quindi questo ‘il nemico’? Chi paga il prezzo della guerra? Ogni volta, nei vari conflitti nell’ambito dei quali abbiamo lavorato, indipendentemente da chi combattesse contro chi e per quale ragione, il risultato era sempre lo stesso: la guerra non significava altro che l’uccisione di civili, morte, distruzione. La tragedia delle vittime è la sola verità della guerra”.

La stessa Emergency, racconta Strada, “non deriva da una serie di principi e dichiarazioni. È stata piuttosto concepita su tavoli operatori e in corsie d’ospedale. Curare i feriti non è né generoso né misericordioso, è semplicemente giusto. Lo si deve fare. Nel secolo scorso, la percentuale di civili morti aveva fatto registrare un forte incremento passando dal 15% circa nella prima guerra mondiale a oltre il 60% nella seconda. E nei 160 e più conflitti rilevanti che il pianeta ha vissuto dopo la fine della Seconda guerra mondiale, con un costo di oltre 25 milioni di vite umane, la percentuale di vittime civili si aggirava costantemente intorno al 90% del totale, livello del tutto simile a quello riscontrato nel conflitto afgano”.

Sessanta anni dopo, “ci troviamo ancora davanti al dilemma posto nel 1955 dai più importanti scienziati del mondo nel cosiddetto Manifesto di Russel-Einstein: “Metteremo fine al genere umano o l’umanità saprà rinunciare alla guerra?”. È possibile un mondo senza guerra per garantire un futuro al genere umano? Molti potrebbero eccepire che le guerre sono sempre esistite. È vero – ammette Strada – ma ciò non dimostra che il ricorso alla guerra sia inevitabile, né possiamo presumere che un mondo senza guerra sia un traguardo impossibile da raggiungere. Il fatto che la guerra abbia segnato il nostro passato non significa che debba essere parte anche del nostro futuro. Come le malattie – sottolinea – anche la guerra deve essere considerata un problema da risolvere e non un destino da abbracciare o apprezzare”.

La maggiore sfida dei prossimi decenni dunque “consisterà nell’immaginare, progettare e attuare le condizioni che permettano di ridurre il ricorso alla forza e alla violenza di massa fino al completo abbandono di questi metodi. La guerra, come le malattie mortali, deve essere prevenuta e curata. La violenza non è la medicina giusta: non cura la malattia, uccide il paziente. L’abolizione della guerra è il primo e indispensabile passo in questa direzione.Possiamo chiamarla ‘utopia’, visto che non è mai accaduto prima. Tuttavia, il termine utopia non indica qualcosa di assurdo, ma piuttosto una possibilità non ancora esplorata e portata a compimento. Dobbiamo convincere milioni di persone – conclude – del fatto che abolire la guerra è una necessità urgente e un obiettivo realizzabile”.

Fonte: http://www.adnkronos.com/salute/2015/11/30/guerra-come-una-malattia-mortale-deve-essere-abolita-nobel-alternativo-gino-strada_x0c7boCz2CqVw7PI8xp02L.html

05 giovedì Nov 2015

Icsi‘Ringiovanire’ le ovaie per tentare di realizzare il sogno di una gravidanza, senza ricorrere alla fecondazione eterologa, quella che richiede l’uso di gameti esterni alla coppia. Una sorta di ‘ultimo tentativo’ prima dell’ovodonazione, soprattutto per le donne più avanti con gli anni, che viene effettuato in forma sperimentale e gratuita dalle cliniche Ivi e dall’Hospital La Fe di Valencia. Con i dati raccolti si sta portando avanti uno studio clinico che sarà pubblicato per documentare l’efficacia della tecnica.
“Sono tre in particolare – spiega all’Adnkronos Salute Daniela Galliano, direttrice del centro Ivi di Roma – le terapie più innovative allo studio: il trapianto di cellule staminali ovariche (Scot), la frammentazione ovarica per l’attivazione follicolare (Offa) e Augment, che mira proprio a ringiovanire gli ovuli”.

Gli ultimi dati ufficiali indicano che è in crescita il numero di donne italiane che ricorrono a trattamenti medici per poter avere un figlio: 54.000 (+77% in 7 anni) nel 2012. In aumento di ben il 168% invece le nascite ottenute a seguito di procreazione medicalmente assistita fra il 2005 e il 2012. E’ noto che il livello di fertilità femminile si riduce drasticamente e in modo più che lineare una volta superati i 30 anni di età, arrivando ad azzerarsi praticamente poco dopo i 40 anni. “E’ proprio attorno a questa età che le coppie devono ricorrere alla fecondazione eterologa per coronare il sogno di un figlio, ma prima c’è un tentativo che si può fare per aumentare la qualità degli ovociti della donna”, evidenzia Galliano.

Per le donne che vogliono essere madri e non riescono a farlo naturalmente “esistono trattamenti di fertilità assistita – sottolinea l’esperta – come la Fiv (fecondazione in vitro), che richiede la stimolazione delle ovaie con ormoni per ottenere ovuli. Tuttavia ci sono molte donne che a causa dell’età, della menopausa precoce o perché non riescono ad avere una risposta adeguata ai trattamenti ormonali non producono abbastanza ovociti per la fecondazione in vitro e hanno anche bassi tassi di gravidanza. Oggi non esiste una soluzione per la bassa risposta ovarica, anche se è un problema comune: da qui l’importanza della ricerca di nuovi trattamenti volti a ringiovanire le ovaie con l’obiettivo finale di rendere queste pazienti madri con i propri ovuli, vale a dire senza dover ricorrere alla donazione di ovociti”.

In cosa consistono le differenti opzioni terapeutiche? “L’obiettivo degli studi sul trapianto di cellule staminali ovariche (Scot) e sulla frammentazione ovarica per l’attivazione follicolare (Offa) – spiega la ginecologa – è quello di favorire la risposta ovarica al trattamento ormonale della Fiv incrementando la quantità dei follicoli mentreAugument vuole migliorare la qualità degli embrioni”.

L’attivazione follicolare nelle pazienti con bassa risposta ovarica attraverso la frammentazione del tessuto ovarico “consiste nel ‘preparare’ l’ovaio prima di realizzare un ciclo di Fiv. Per fare questo, si estrae un pezzo di corteccia ovarica mediante laparoscopia e si frammenta. La frammentazione favorisce la crescita dei follicoli (ovociti immaturi) che in circostanze normali sono ‘dormienti’ e così si ottimizza la riserva ovarica. In seguito, nello stesso atto chirurgico, si re-impiantano i frammenti di ovaio nella paziente. Il trapianto di cellule staminali comporta un procedimento di auto-trapianto di midollo osseo (ottenuto da cellule staminali madri del sangue periferico) per rigenerare l’ovaio ed è in grado di promuovere la crescita di follicoli che danno luogo alla formazione degli ovociti”.

C’è infine la tecnica chiamata ‘Augment’: “Gli embrioni generati a partire dagli ovuli di donne in età avanzata – spiega Galliano – oltre a presentare in percentuale molto elevata anomalie cromosomiche, presentano anche una qualità scarsa. Per migliorarla si realizza una microiniezione autologa dei mitocondri (che sono responsabili della generazione dell’energia richiesta dalle cellule) di cellule staminali madri ovariche nello stesso momento in cui viene fecondato l’ovulo”.

I mitocondri sono dunque “una sorta di ‘terzo attore’ al momento della fecondazione in vitro. Successivamente si possono impiegare tecniche di screening delle anomalie cromosomiche che all’Ivi vengono in ogni caso proposte anche associate a procedimenti standard come la Fiv”.

Ecco i risultati a oggi: 11 pazienti hanno realizzato il trapianto ‘Scot’, 6 di loro sono arrivate al ciclo di Fiv e due hanno raggiunto la gravidanza (una in forma spontanea) . Sono state trattate 4 pazienti con Offa e una di loro è rimasta incinta. Precedenti esperienze sviluppate in altri centri hanno invece portato a compimento 14 nascite di bambini sani con Augment. “Nei prossimi mesi avremo più dati a disposizione per pubblicare lo studio, per il quale stiamo offrendo gratuitamente questi trattamenti alle pazienti fino ai 42 anni di età”, conclude l’esperta.

Fonte: ADN Kronos Salute

02 venerdì Ott 2015

pelle1) Idratazione. Quando la pelle appare particolarmente secca e stanca è opportuno ricorrere a trattamenti locali a base di creme emollienti e idratanti che possono portare alla normalizzazione della barriera cutanea, fornendo al contempo protezione contro gli agenti esterni. “Oggi – spiega il dermatologo plastico Antonino Di Pietro – si utilizzano due tecniche strumentali, non invasive per studiare la pelle e valutare la “perdita di acqua transpidermica”. Le nuove formulazioni cosmetiche sono sempre più vicine a quella che è la composizione naturale dei lipidi cutanei deputati alla nostra difesa”.

2) Pulizia. Detergere in modo accurato la cute è sempre fondamentale, ma per farlo bene è importante utilizzare un detergente poco schiumogeno, per non alterare il film idrolipidico di superficie e non ridurre il suo effetto-barriera. “Detergenti troppo aggressivi – specifica Di Pietro – possono, infatti, impoverire il sottile film fatto di acqua e sebo che protegge la cute. La pelle diventa così esposta alle irritazioni e alle piccole infezioni”. È anche utile passare la sera, dopo la pulizia del viso, un cubetto di ghiaccio. Questa misura facilita la vasocostrizione, cioè il restringimento dei capillari, con successiva vasodilatazione reattiva, cioè il loro allargarsi. Azioni che faranno svolgere una fisiologica “ginnastica” ai capillari e favoriranno l’ossigenazione e il metabolismo cellulare.

3)Scrub. Perché la pelle possa essere adeguatamente idratata è necessario che sia anche levigata. “Per ottenere questo risultato – suggerisce Antonino Di Pietro – è utile fare regolarmente una o due volte a settimana uno scrub sia sul viso che sul corpo. Se in alcune zone si forma un particolare ispessimento del derma è anche consigliabile un peeling medico”.

4) Alimentazione. Nutrirsi bene e fare scorta di antiossidanti è la prima cura di bellezza che viene da dentro. Infatti lo stress ossidativo è una delle principali cause di invecchiamento cellulare. Tale processo è alla base di numerose patologie croniche degenerative (arteriosclerosi, diabete, tumori cutanei e di altri organi). Negli ultimi 50 anni si è osservato che l’alimentazione costituisce un fattore ambientale cruciale di protezione per tutte le malattie complesse e per l’invecchiamento. È stato così inequivocabilmente dimostrato che la “Dieta Mediterranea”, a base di frutta, verdura, legumi e cereali integrali, che includa pesce e riduca il consumo di grassi animali a favore dell’olio di oliva – ricca di antiossidanti – svolge un’azione protettiva per le varie malattie, da quelle cardiovascolari, al cancro nonché per l’invecchiamento. “E’ stato dimostrato – sottolinea ancora Di Pietro – che sostanze come resveratrolo (contenuto nel vino rosso), apigenina (contenuta nelle arance), licopene (contenuto nei pomodori), idrossitirosolo (contenuto nell’olio d’oliva) influenzando i complessi meccanismi che regolano sia la proliferazione che la differenziazione delle cellule dell’epidermide (cheratinociti), possono rappresentare un fattore di prevenzione nei confronti dei processi di invecchiamento, esercitando un potente effetto antiaging”. Inoltre svolgono un notevole effetto anti-infiammatorio contro patologie dermatologiche comuni quali psoriasi, fotoinvecchiamento e acne.

5) Nei. “Controllarli sempre è una buona regola – avverte Di Pietro -, soprattutto se sono marroncini e poco rilevati. Seguire sempre la regola dell’ABCDE, dove “A sta per asimmetria, B per bordi, C per colore, D per dimensione e E per età o evolutività. Se c’è un rapido aumento delle dimensioni, l’accentuarsi o l’estendersi della pigmentazione, il sanguinamento o l’ulcerazione spontanea di un neo, c’è pericolo che il neo si trasformi in melanoma. In questi casi è bene rivolgersi subito ad uno specialista dermatologo”.

6) Sole. Sono pochi i rischi se l’esposizione è ragionata e preceduta dall’applicazione ‘corretta’ di uno schermo solare. E’ fondamentale applicarlo spesso, in quantità adeguata e prima di 10 o 15 minuti dell’esposizione al sole, in modo che abbia il tempo di penetrare nella cute. Non solo schermi solari, ma anche da comuni indumenti, come una T-shirt di colore chiaro, perfetta quando il sole è a picco e la carnagione molto chiara o un tradizionale ombrellone. “Per gli schermi – specifica Di Pietro – oggi esiste solo l’imbarazzo della scelta. E il sole fa anche bene in caso di alcuni disturbi della pelle: acne, psoriasi, vitiligine, alcuni eczemi.” L’elioterapia è valida in questi casi come altre terapie, anzi consente la riduzione o addirittura la sospensione di quelle tradizionali.

7) Fotoprotezione. Particolare attenzione va prestata alla protezione della pelle dei bambini e delle donne in gravidanza. Le ustioni solari nell’infanzia sono associate ad un aumentato rischio di tumori cutanei in età adulta. Evitare quindi le esposizioni nelle ore più calde e nel caso usare una protezione elevata, almeno ftp15, rinnovando spesso l’applicazione. In gravidanza il sole può far peggiorare le macchie scure che compaiono spontanee sul volto. Inoltre il calore può dilatare i capillari aumentando il prurito gravidico oltre ad abbassare la pressione. Fondamentale applicare una crema idratante doposole per preservare l’elasticità cutanea.

8) Macchie. Prestare attenzione se compaiono con un aspetto o comportamento ‘sospetto’, siano bianche o scure. “In questi casi – specifica il prof. Di Pietro – è fondamentale rivolgersi subito allo specialista per trattarle. Attenzione poi alle creme profumate e ai farmaci foto sensibilizzanti”. Le macchie bianche compaiono sulla pelle di un italiano su due. Può trattarsi di vitiligine, che colpisce circa un milione di connazionali; o dermatite atopiche, nel 4-5% dei casi. Piccole macchie rotondeggianti compaiono nel 50% della popolazione a causa di un fungo che si nutre di cheratine.

9) Reazioni. Fare attenzione all’assunzione di farmaci che possono causare effetti indesiderati anche per associazione di molecole differenti. Ma attenzione anche ai cosmetici, prima causa di irritazione alla pelle.

10) Viso. “Tossina botulinica e filler per essere belli possono essere un prezzo un po’ alto da pagare, per attenuare o far scomparire rughe e inestetismi – osserva infine il dermatologo plastico Antonino Di Pietro -. Prestare attenzione e valutare attentamente le promesse di trattamenti “miracolosi” ma dalle innumerevole insidie e che possono avere conseguenze talvolta irrimediabili”.

Fonte: www.antoninodipietro.it

14 lunedì Set 2015

aloeUna pianta dalle proprietà miracolose: questo sembrerebbe essere l‘aloe vera
panacea dei giorni moderni. Ilgel estratto dalle sue foglie è utilizzato quotidianamente da molte persone, per un mercato da 13 miliardi di dollari l’anno. Ma cosa sappiamo davvero di questa pianta miracolosa? Conosciamola meglio.

La pianta. L’aloe vera (Aloe barbadensis Miller) appartiene alla famiglia delle Aloeaceae. È una pianta succulenta che predilige i climi caldi e secchi. Le sue foglie, molto carnose, sono lanceolate con apice acuto, disposte a ciuffo e dotate di spine laterali. La loro lunghezza va da 40 a 60 cm. I fiori, disposti lungo un gambo che s’innalza al centro delle foglie, sono di colore giallo o rosso. Si riproduce con impollinazione incrociata (i fiori maschili e quelli femminili della stessa pianta non si incrociano mai tra loro).

Le origini e la distribuzione. La provenienza non è nota. Le prime piante risalgono a circa 19 milioni di anni fa: trovate in Africa del sud, per adattarsi alle mutevoli condizioni climatiche, si sarebbero poi diffuse a nord-est fino ad arrivare al Corno d’Africa. Da lì, grazie alla spinta evolutiva, hanno raggiunto e si sono sviluppate in molti nuovi habitat: Arabia, Madagascar, regioni desertiche, Messico, Moldavia, Santo Domingo, Argentina, Colombia, Cuba, Paraguay, Sudest Asiatico. Una popolazione di aloe vera selvatica però non è mai stata trovata e questo fa presupporre che in natura si sia estinta e la sua presenza abbondante in molte zone, sia dovuta a migliaia di anni di coltivazione. A dirlo è Nina Rønsted, specialista nell’evoluzione delle piante medicinali presso il Museo di storia naturale di Copenhagen in Danimarca che con altri colleghi, botanici europei e africani, ha collaborato nella realizzazione di un importante progetto, racconta il New Scientist, finalizzato alla ricostruzione dell’albero genealogico di questa pianta. Oggi l’aloe vera è coltivata in Africa, Australia, America, Russia e Giappone. In Europa si trovano estese coltivazioni in Spagna e in Italia, al sud anche se le dimensioni di queste ultime sono ancora limitate.

I composti e le proprietà. Nonostante le sue origini lontane nel tempo e la storia – che ne documenta l’uso come prodotto di bellezza da parte di Cleopatra e curativo da parte del chirurgo greco Dioscoride (autore del De Materia Medica) che la usò per curare tutti i problemi dei soldati dell’esercito di Nerone: dal mal di gola alle ulcerazioni dei genitali – lo studio sistematico e strutturato dell’aloe vera iniziò solo nel 1959 con Bill Coats, un farmacista texano.Dal punto di vista chimico contiene tre tipi di composti: gli zuccheri complessi (glucomannani e in particolare l’acemannano) presenti nel gel trasparente interno alla foglia; composti chimici legati a uno zucchero (gli antrachinoni, aloina in particolare) nella parte verde e coriacea della foglia e altre sostanze quali vitamine, aminoacidi, acidi organici, saponine e lignine, sali minerali, fosfolipidi (grassi) ed enzimi. Ai glucomannani sono riconosciuti effetti immunostimolanti mentre agliantrachinoni, proprietà lassative. Ma sono molte di più le presunte capacità attribuite all’aloe vera: cicatrizzante, rigenerante, antinfiammatoria, idratante, antipiretica, analgesica, batteriostatica, virostatica, fungicida, antistaminica, emostatica, disintossicante, antitumorale, disinfettante, emolliente.

L’uso. Le tante e potenziali capacità dell’aloe fanno sì che il suo utilizzo sia diffusissimo. Dalla cosmesi alla cura l’uso del gel dell’aloe vera è vastissimo: rimedio per problemi dermatologici, al trattamento di ustioni, come digestivo, crema lenitiva, idratante, solare, parte di detersivi, carta igienica e deodoranti. Sempre più frequentemente, la si ritrova poi polverizzata e aggiunto come integratore in alimenti come ad esempio lo yogurt. L’elenco è piuttosto lungo.

Prove a sostegni di efficacia. Ad oggi non ci sono sufficienti e robuste evidenze scientifiche a sostegno della sua efficacia. Due recenti revisioni sistematiche della letteratura scientifica – una effettuata per verificare le prove delle capacità di guarigione delle ferite acute (lacerazioni, ferite chirurgiche, ustioni e delle ferite croniche (ferite infette, ulcere venose) e l’altra per valutare l’efficacia nella prevenzione del trattamento delle flebiti (infiammazione della vena) nei pazienti ricoverati in ospedale in terapia somministrata per via venosa – non ne hanno confermato la reale efficacia.

Anche le sue capacità curative nei confronti di diversi tipi di tumori non sono scientificamente provate: ad oggi non esistono studi scientifici che documentano un ruolo certo dell’aloe vera nella prevenzione o nella cura del cancro anche se, come spiegano gli esperti dell’Associazione Italiana per la ricerca sul cancro (Airc), alcuni dei composti contenuti all’interno della pianta sono in fase di studio.

Perché ha così successo?. Le specie di aloe sono circa 500 – 200 quelle studiate da Rønsted e gli altri scienziati – e molte sono quelle che hanno all’interno delle loro foglie gel del tutto simile a quello dell’aloe vera. Secondo i ricercatori poi il 25% delle specie di aloe hanno un uso medicinale ma questo il più delle volte è conosciuto solo nel contesto in cui la specie viene coltivata, cresce ed è utilizzata, ovvero localmente. Perché però proprio l’Aloe Vera ha riscosso così successo? Per caso e a ragioni strettamente pratiche, secondo Rønsted: è facile da raccogliere, da coltivare e da trasportare e le piantine sono in grado di sopravvivere a lungo senza terra e acqua. Anche tagliate le foglie si mantengono fresche e sono utilizzabili per un lungo periodo di tempo.

Articolo scritto da Marina Vanzetta
http://www.galileonet.it/2015/07/cosa-sappiamo-sullaloe-vera-tra-scienza-e-leggenda/

29 lunedì Giu 2015

Aceto_di_mele_per_la_pelle-15827-640-480-90-cScopriamo come utilizzare l’aceto di mele per il bene della nostra pelle

L’aceto di mele è ricco di amminoacidi ed enzimi che aiutano il corpo in diversi modi e può essere molto utile anche per la salute della pelle. Stimola la circolazione dei capillari che sono responsabili del nutrimento della pelle e aiuta a mantenere il giusto pH. Inoltre l’aceto di mele rimuove i batteri e le cellule morte; in questo modo dona sollievo ai pori ostruiti regalandoti una pelle sana e bella. Vediamo come impiegarlo a seconda delle diverse necessità.

ACETO DI MELE PER COMBATTERE L’ACNE

Le proprietà antisettiche dell’aceto di mele, unite a quelle del miele contrastano i batteri, aprono i pori, rimuovono il grasso e aiutano l’idratazione. Ecco quello che serve

  • 1/4 di tazza di miele
  • 1 tazza di camomilla
  • 1/2 tazza di aceto di mele

Mescola questi ingredienti fino a ottenere una soluzione omogenea. Prima di andare a dormire utilizzala con un batuffolo di cotone per pulire la pelle

ACETO DI MELE PER IL PH DELLA PELLE

Questa soluzione vi aiuterà a riottenere il naturale pH della pelle e l’olio di lavanda sarà utile per far diminuire le irritazioni.

  • 2/3 di tazza di acqua
  • 1/3 di tazza di aceto di mele
  • 3 gocce di olio di lavanda

Mescola tutti gli ingredienti e scuoti per bene. Pulisci il viso con un batuffolo di cotone.

Inoltre l’aceto di mele è ottimo se vogliamo dimagrire. I suoi enzimi e acidi fanno diminuire l’appetito e ci aiuta a bruciare i grassi più rapidamente perché accelera il metabolismo.

fonte: http://www.ecoseven.net/benessere/bellezza/aceto-di-mele-per-la-pelle

06 mercoledì Mag 2015

semi-palma-olioSalute e nutrizione, ambiente e foreste. Tutto quello che c’è da sapere sull’olio di palma, l’ingrediente più diffuso e controverso del momento.

Le importazioni di olio di palma in Italia hanno raggiunto un record storico nel 2014, registrando un aumento del 19 per cento rispetto all’anno precedente: 1,7 miliardi di chilogrammi. Un’invasione incomprensibile secondo Coldiretti (Confederazione nazionale dei coltivatori diretti) visto che il nostro Paese è la patria dell’olio extravergine di oliva e della dieta mediterranea.

Al di là del made in Italy, i dubbi dei consumatori legati alla diffusione dell’olio di palma sono sia di natura ambientale che nutrizionale. L’aumento esponenziale delle piantagioni sta alimentando la deforestazione in molte aree tropicali della Terra e gli studi scientifici sulle caratteristiche nutrizionali di questo olio vegetale sono contradditori. Proviamo a fare un po’ di chiarezza.

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COSA C’ENTRA L’OLIO DI PALMA CON LE FORESTE
È l’olio vegetale più usato al mondo. L’aumento del suo utilizzo nel settore alimentare ha causato molti problemi ambientali. Negli ultimi anni, infatti, il numero (e quindi l’estensione) delle piantagioni è cresciuto in modo esponenziale, a tutto danno delle foreste tropicali.Questo fenomeno si è sviluppato soprattutto in Indonesia e Malesia che, insieme, esportano circa il 90 per cento di tutto l’olio di palma presente sul mercato globale. Per cercare di arginare o quantomeno affrontare il problema, nel 2004 alcune aziende produttrici insieme a ong ambientaliste si sono sedute intorno alla Tavola rotonda per l’olio di palma sostenibile (Roundtable on sustainable palm oil, Rspo) per cercare di dar vita a uno standard ambientale minimo per la coltivazione della palma e porre un freno alla deforestazione e alla perdita di biodiversità.

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I lavori hanno portato alla stesura di otto principi da seguire e all’importazione in Europa del primo olio di palma certificato nel 2008, mentre nel 2012 circa il 14 per cento di tutto l’olio prodotto (oltre 54 milioni di tonnellate) portava il logo Rspo. Non tutti sono rimasti soddisfatti dai risultati della tavola rotonda, come sottolineato dal Wwf e da altre ong. Ci sono molti punti che devono essere migliorati, come quello sui pesticidi. Diserbanti e altre sostanze chimiche pericolose, infatti, continuano a essere utilizzati nelle piantagioni e non vige alcun controllo sulle emissioni di CO2 in atmosfera.

Per continuare a innovare e migliorare la certificazione Rspo e includere parametri che rendano le piantagioni e l’olio di palma davvero sostenibili, Wwf, Greenpeace, Rainforest Action Network e altre organizzazioni hanno dato vita al Palm oil innovation group (Poig), un gruppo di pressione con l’obiettivo di spingere governi e imprenditori a migliorare le leggi in vigore e le condizioni di lavoro e di sfruttamento delle risorse naturali. Perché l’unico, vero scopo è difendere i polmoni del pianeta: le foreste tropicali. Il consiglio più valido per i consumatori, dunque, è quello di cercare in etichetta i loghi e la certificazione Rspo che attestino la provenienza da gestione quantomeno responsabile dell’olio di palma contenuto nel prodotto.

L’OLIO DI PALMA DAL PUNTO DI VISTA NUTRIZIONALE

Da più parti vengono mosse critiche a questo ingrediente, accusato di essere largamente utilizzato dall’industria nonostante presenti un tenore di grassi saturi superiore a quello di molti altri oli. Ma l’olio di palma è dannoso per la salute? Per prima cosa va precisato che i grassi saturi sono ritenuti responsabili dell’insorgenza di malattie cardiovascolari, ma non sono tutti uguali. Si distinguono in saturi a catena corta (protettivi), media (neutri) e lunga (dannosi). Sono proprio questi ultimi ad aumentare il rischio di sviluppare ipertensione arteriosa, arteriosclerosi e colesterolemia. L’olio di palma, in effetti, contiene abbondante acido palmitico saturo a catena lunga, ma questa quota di grassi dannosi è affiancata da ben il 51,5 per cento di acidi grassi insaturi protettivi, cioè da circa il 39 per cento di monoinsaturi (acido oleico, tipico dell’olio di oliva) e dal 12 per cento di polinsaturi, soprattutto linoleico. Per fare un paragone, si pensi che il burro contiene solo il 21,6 per cento di acido palmitico e possiede gli acidi laurico e miristico, saturi a catena media, quindi neutri rispetto al rischio vascolare; più l’acido butirrico, a catena corta, che pur essendo saturo rientra tra i grassi protettivi. Ma è anche vero che il burro ha solo la metà (26,5 per cento) degli acidi grassi protettivi monoinsaturi dell’olio di palma (fonte Nico Valerio). L’olio di palma dunque, anche se contiene abbondante acido palmitico, grazie alla sua composizione complessiva, e quando non è idrogenato, non aumenterebbe il colesterolo totale. L’idrogenazione è quel processo in base al quale l’olio assume una consistenza solida e diventa più ricco di grassi saturi; l’olio di palma ha per sua natura una consistenza semisolida che ha l’effetto di rendere naturalmente cremosi i prodotti, per cui spesso non viene idrogenato. Allo stato naturale, grezzo, è inoltre ricco di vitamine, carotenoidi e polifenoli antiossidanti. I più recenti dati nutrizionali relativi a questo ingrediente rivelano che in cottura si comporta meglio dell’olio di semi e del burro perché è un grasso stabile alle alte temperature, anche alla frittura, e all’ossidazione. E allora perché il Consiglio superiore della sanità del Belgio raccomanda di limitarne l’impiego e l’assunzione per via dell’alto contenuto di acidi grassi saturi? Perché gli studi scientifici e nutrizionali sull’olio di palma sono controversi, danno risultati contradditori e non sono paragonabili tra loro in quanto non sempre riportano con precisione qual è la forma in cui è stato analizzato: se integrale, raffinato o frazionato. La sua migliore prestazione nutrizionale, infatti, l’olio di palma la dà quando è integrale, perché da grezzo è ricco di beta-carotene, di alfa-carotene e di vitamina E alfa-tocoferolo. Il prodotto raffinato, il più utilizzato dall’industria alimentare, offre molto poche delle proprietà dell’olio grezzo. Altra problematica legata all’olio di palma è quella legata alla contaminazione da residui di sostanze chimiche tossiche. L’olio di palma viene coltivato in Paesi che consentono ancora l’impiego di sostanze che in Italia e in Europa sono vietate, come ad esempio il ddt. Dai controlli effettuali finora non sono mai stati riscontrati livelli di residui superiori a quelli consentiti per legge, ma è possibile che i bambini possano essere più esposti degli adulti al cosiddetto “effetto accumulo” da pesticidi.

04 mercoledì Mar 2015

dischw-225x300Vi direte: e cosa c’entra ora la lavastoviglie con leallergie? Be’, secondo uno studio pubblicato suPediatrics ci sarebbe un legame diretto tra l’uso dell’elettrodomestico e il rischio di sviluppare allergie: maggiore se al lavaggio a mano si preferisce quello della macchina. Ma perché?

La ragione avrebbe a che fare con l’ormai ben diffusa teoria dell’igiene riguardo l’origine – sarebbe meglio parlare di epidemia, considerato l’aumento dei disturbi allergici negli ultimi anni – delle allergie. Secondo questa ipotesi, al momento la più accreditata, l’uso diffuso, soprattutto nel mondo occidentale, di detergenti, il ridotto contatto con ambienti rurali ed animali, avrebbe ridotto le capacità di interazione del sistema immunitario con i batteri più comuni, alterandone il funzionamento e predisponendolo poi a una maggiore sensibilità verso gli allergeni. Il discorso della lavastoviglie e del rischio di allergie segue la stessa logica: lavare i piatti nell’elettrodomestico riduce sensibilmente la quota di batteri presenti sulle stoviglie rispetto al lavaggio a mano, e quindi anche la quantità di microrganismi con cui veniamo a contatto.

Nel loro studio i ricercatori della University of Gothenburg hanno indagato le abitudini alimentari e domestiche dei genitori di oltre mille bambini, chiedendo loro se mangiassero cibi fermentati o freschi di campagna e se usassero o meno lalavastoviglie. Come accennato è così emerso che i bambini delle famiglie che non usano lavastoviglie avevano meno allergie, meno eczemi e soffrivano meno di allergie. Lo stesso si osservava per i bambini che abitavano nelle famiglie che consumavano cibi fermentati e provenienti dalla campagna. Il tasso più basso di allergie si aveva proprio per quelli che non usavano lavastoviglie a casa e mangiavano così.

Dire che la lavastoviglie causi allergie è più che azzardato. Diversi infatti sono i fattori che sembrano correlati con l’insorgenza delle allergie (come lo status socioeconomico, per esempio) e andrebbero considerate in dettaglio le età di incidenza delle ipersensibilità agli allergeni. Non da ultimo va ricordato che, sebbene la tesi dello studio su Pediatrics sostenga che la lavastoviglie elimini più batteri del lavaggio a mano, tempo fa alcuni studi avevano trovato proprio qui numerosi microrganismi potenzialmente patogeni.

scritto da Anna Lisa Bonfranceschi
http://www.galileonet.it/2015/02/la-lavastoviglie-causa-allergie/?utm_campaign=Newsatme&utm_content=Usare%2Blavastoviglie%2Bfa%2Bvenire%2Ble%2Ballergie%3F&utm_medium=news%40me&utm_source=mail%2Balert

Riferimenti: Pediatrics Doi: 10.1542/peds.2014-2968
Credits immagine:  trekkyandy/Flickr CC

13 venerdì Feb 2015

avocadoGli antiossidanti sono sostanze preziose per la nostra salute perché agiscono contro l’azione nefasta dei radicali liberi. I radicali liberi sono molecole altamente reattive che agiscono a danno dell’organismo su più fronti. Più semplicemente i radicali liberi sono il prodotto di scarto del lavoro quotidiano delle cellule.Essi agiscono “aggredendo” le cellule sane danneggiandole. In questo modo si replicano a danno del nostro organismo.

L’invecchiamento cellulare è uno degli aspetti  che si deve considerare quando si parla di radicali liberi e di azione preventiva nei loro confronti. Quando il sistema cellulare è attaccato il nostro sistema immunitario ne esce sconfitto e debilitato. Che cosa significa? È facile intuire che se l’organismo è debole e senza difese sarà più facilmente esposto ad ammalarsi e a invecchiare prima del tempo. Gli antiossidanti dunque servono proprio a evitare tutto questo e a preservare in salute e bellezza tutto il nostro organismo, sia dentro che fuori.

Quando assumerli

Gli antiossidanti sono di origine endogena (prodotti dall’organismo) ed esogena (introduzione tramite gli alimenti). L’ossidazione cellulare si può vincere utilizzando diverse sostanze ad azione antiossidante che dovrà essere valutata in base al principio attivo scelto e alle proprie esigenze e peculiarità.

Se notiamo sul nostro viso un peggioramento della condizione della nostra cute (macchie, rughe, secchezza cutanea) o se ci accorgiamo di essere particolarmente debilitati e stanchi e la nostra vista è peggiorata o soffriamo di dolori articolari e ancora rileviamo dalle analisi del sangue  che alcuni valori come quello del colesterolo, sono alterati, allora è consigliato iniziare a valutare l’ipotesi di assumere gli antiossidanti.

Le vie da seguire sono due: è possibile modificate la propria alimentazione scegliendo cibi ricchi di sostanze antiossidanti o si può ricorrere agli integratori e nei casi più gravi si può ricorrere a entrambi. È nota importante ricordare che l’eccesso di antiossidanti può essere  controproducente se non è necessaria la loro supplementazione.

Fonte: http://www.cure-naturali.it/cibi-antiossidanti/4189

16 venerdì Gen 2015

oli-essenziali-cervicale-2Come ridurre il dolore cervicale con rimedi naturali? Vi suggeriamo alcuni oli essenziali, ideali per massaggiare collo e spalle.

Chi ne soffre lo sa: il dolore alla cervicale è un compagno davvero antipatico delle nostre giornate, che può portare con sé emicranie, mal di schiena, giramenti di testa, fastidio agli arti e talvolta, nei casi più acuti, anche nausea e vomito.

Questo disturbo può derivare da diversi fattori: colpi d’aria, umidità, infiammazione da attività sportiva intensa, movimenti bruschi, stress e tensioni di vario tipo, cattiva postura (specie quando siamo seduti alla scrivania). I rimedi maggiormente utilizzati sono antidolorifici e antinfiammatori.

Sempre ricordando che nulla sostituisce il consulto con il proprio medico di fiducia, qui vi proponiamo alcuni oli essenziali utili per massaggiare localmente collo e spalle e ridurre l’infiammazione muscolare.

Artiglio del diavolo A dispetto del nome, dovuto alla sua forma simile a una mano aperta dotata di unghie “spinose”, questa pianta erbacea perenne originaria dell’Africa del Sud, della savana e del deserto del Kalahari presenta proprietà antinfiammatorie. Viene utilizzata in particolare in caso di artrite, dolori articolari, infiammazioni muscolari. Si trova non solo sotto forma di olio essenziale, ma anche in pomate e gel ed estratti secchi.

Arnica montana Più che l’olio essenziale, dell’arnica si usa l’oleolito, spesso molto concentrato (fino al 100 per cento) e quindi mediamente più efficace delle pomate che possono contenere fino al 30 per cento circa di estratto. E’ utile come antinfiammatorio generale e in caso di traumi sportivi e distorsioni.

Camomilla Esistono due varianti dell’olio essenziale di camomilla, quella romana e quella blu. La prima, in particolare, ha proprietà calmanti, rilassanti e antistress: risulta quindi molto utile nelle cervicalgie dovute a tensione muscolare causata dallo stress quotidiano.

Rosmarino L’olio essenziale di questa comunissima aromatica viene utilizzato come lenitivo in caso di patologie reumatiche e artrosiche. In abbinamento ad altri oli essenziali, il massaggio con il rosmarino può risultare utile in caso di infiammazione dovuta a colpi di freddo e umidità.

Lavanda L’essenza di questa bellissima e profumatissima pianta è spesso indicata per combattere il mal di testa, come confermato da uno studio iraniano condotto dalla Isfahan University of Medical Sciences. All’olio essenziale vengono attribuite proprietà spasmolitiche e sedative. Buona nel caso di emicrania associato a dolori cervicali.

Come prepararli? Meglio non utilizzare mai gli oli essenziali “puri”, ma mescolarli con un buon olio base alla mandorla o alla jojoba (si trovano anche al supermercato certificati e di buona qualità) o con una crema base neutra. La proporzione è generalmente di 5-10 gocce di olio essenziale per 50 ml di crema o olio base.

Articolo scritto da Chiara Boracchi
Fonte: http://www.lifegate.it/persone/stile-di-vita/oli-essenziali-cervicale