Archivio mensile:maggio 2015

06 mercoledì Mag 2015

vivisezionenoIl 29 marzo 2014 è entrato in vigore il nuovo Decreto Legislativo n. 26/2014 sulla sperimentazione animale.

Anche se, purtroppo, non si tratta della fine della vivisezione, la nuova legge è frutto di una lunga battaglia per il recepimento della Direttiva europea 63/2010 che ci ha visto in prima linea per ottenere criteri maggiormente restrittivi rispetto al testo comunitario.

La Camera dei Deputati aveva approvato l’articolo 13 della Legge di delegazione europea che “restringeva” lasperimentazione animale e incentivava il ricorso ai metodi sostituivi di ricerca, ma il Governo, chiamato a legiferare su questo tema, ha cambiato le carte in tavola calpestando numerosi punti di tale articolo.

Nonostante la posizione presa dal Governo e la lobby vivisettoria che ha fatto di tutto per alimentare falsi stereotipi sull’utilità del modello animale, in Italia sono stati introdotti numerosi punti migliorativi rispetto alla Direttiva, infatti non sarà più possibile:

  • allevare cani, gatti e primati da laboratorio e, quindi, il famigerato “Green Hill” non potrà riaprire la sua fabbrica di beagle, a prescindere dall’esito del prossimo processo
  • effettuare esperimenti su scimmie antropomorfe (scimpanzè, oranghi, gorilla, gibboni, bonobo)
  • effettuare esperimenti per la produzione e il controllo di materiale bellico
  • effettuare esercitazioni su animali per la didattica, ad eccezione dei corsi universitari per la medicina veterinaria e il divieto si applica anche in scuole primarie e secondarie
  • riutilizzare animali in esperimenti con livello di dolore grave a partire dal 1° gennaio 2017
  • ignorare le sanzioni, ora più efficaci, per chi viola le norme minime della legge
  • Inoltre, seppure solo dal 1° gennaio 2017 e previo riconoscimento di metodi alternativi, saranno vietati i test per droghe, alcool, tabacco e per trapianti di organi animali
  • Confermati i divieti di test su cani e gatti randagi e su animali resi afoni, altrimenti utilizzabili secondo la direttiva europea
  • saranno finalmente promossi e adottati metodi alternativi/sostitutivi alla vivisezione poiché vi sarà un Fondo per il loro sviluppo, pari al 50 per cento del fondo di rotazione dello Stato di cui all’articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183.

La battaglia di questi anni ha dimostrato che avere una legge nazionale maggiormente restrittiva rispetto al testo comunitario non solo era doveroso, ma possibile!

La nuova legge deve essere il punto di partenza e non di arrivo: continueremo a lottare per ottenere  una ricerca nonviolenta e davvero utile, per salvare la vita di uomini e animali che a migliaia cadono ancora vittime di una falsa scienza.

Fonte: LAV

06 mercoledì Mag 2015

alberoexpo Dopo l’inaugurazione e la frenesia dei primi giorni, Expo 2015 è entrata nel vivo e le attività nell’area espositiva sono regolari. Come sta andando? Abbiamo fatto un giro tra i padiglioni per scoprire gli angoli più affascinanti dell’Esposizione Universale: cosa vedere, quali sono i luoghi da non perdere, cosa ancora non gira alla perfezione.

Ingresso di grande pathos con il Padiglione Zero progettato da Davide Rampello, direttore artistico, che porta la scritta Divinus Halitus Terrae. Nelle dodici stanze che compongono l’area, un percorso che invita a riflettere e ad emozionarsi sul rapporto tra esseri umani e cibo nella storia.
Tra i padiglioni senza dubbio più apprezzati dai visitatori quelli del Brasile e dell’Austria. Il primo, oltre all’orto all’aperto e alle mostre, propone un percorso attraverso una grande rete di corda tesa su cui camminare, di grande impatto e preso d’assalto non solo dai più piccoli. Il padiglione dell’Austria, apparentemente più contenuto all’esterno, ospita invece un vero e proprio bosco con le piante tipiche dei suoi territori montani.
Molti gli stati che puntano sull’interattività come Angola, Bielorussia, Kazakistan, Israele e Città del Vaticano (quest’ultimo ospita anche un’importante opera come l’Ultima Cena del Tintoretto). Spiccano in questo senso il Giappone, con una full immersion totale nella tradizione del Sol Levante che dura 50 minuti, e il Principato di Monaco, dove il pubblico può visitare l’acquario delle meduse o persino immergersi sott’acqua con un timone interattivo.
Anche la Regione Lombardia (la prima a scorgersi avvicinandosi dal Decumano al Padiglione Italia) propone un’esperienza attraverso una maschera 3D che mostra le più grandi attrazioni naturalistiche e culturali regionali. Il Padiglione Italia è il più ampio di tutta Expo e si divide in quattro ampi edifici dove ogni regione promuove i propri prodotti e i propri territori. Se la Calabria presenta un piccolo orto mediterraneo dove peperoncino e liquirizia non mancano, l’Alto Adige/Südtirol costruisce una casa sull’albero con scale molto strette, a ricordare i sentieri delle sue terre, in cui spesso si deve usare la cortesia di dare la precedenza prima di poter proseguire.
Il messaggio del Padiglione Svizzero è chiaro e dichiarato fin dalla facciata: Ce n’è per tutti? Con questa domanda, la Confederazione Elvetica ci invita a salire su una delle quattro torri, ognuna colma di un elemento importante per l’alimentazione del Paese. Di acqua, mele, caffè e sale sono stati riempiti i quattro silos e nessuna quantità rispetto a quella prestabilita verrà aggiunta durante i sei mesi. Ogni visitatore può accaparrarsi la quantità che desidera dei prodotti, ricordando però che, qualora eccedesse, probabilmente la quantità a disposizione non basterà a coprire tutto il periodo di Expo e che quindi chi interverrà dopo resterà senza la propria dose. Un modo efficace e d’impatto per parlare di sostenibilità.
Concentrano tutta la visita al proprio padiglione sui prodotti tipici il Belgio, con store di cioccolato e birra, la Spagna, la Francia e gli Stati Uniti, che accolgono i visitatori con un video del presidente Obama.
Apprezzata l’idea dell’Olanda di allestire un vero e proprio raduno musicale con tanto di food track e musica rock. Se Ecuador e Turkmenistan abbondano di colori, più concettuali Inghilterra, con l’alveare, installazione artistica di Wolfgang Buttress, e la Corea con l’emozionante installazione Hansik.
Presentano le proprie tradizioni gastronomiche e non solo attraverso la musica Irlanda e Ungheria: entrambi i padiglioni stanno infatti definendo un fitto programma concertistico che si terrà durante i prossimi sei mesi.
Di grande fascino i padiglioni mediorientali, che puntano sul sogno per avvicinare alla visita.
Paiono limitati i disagi con qualche struttura da terminare tra cui il temporary shop all’ingresso dell’esposizione e le ultime stanze di alcuni padiglioni. Il padiglione del Nepal, presentato come terminato da artigiani italiani dopo il terribile terremoto che ha costretto i lavoratori nepalesi a rientrare in patria, è invece ancora in buona parte da concludere. Problemi anche per i distributori gratuiti dell’acqua potabile: per la maggior parte non ancora funzionanti.
Conclude il Decumano il Padiglione Slow Food. Presa d’assalto l’area circostante l’Albero della Vita, che ogni ora propone uno spettacolo di musica, colore e giochi d’acqua.
Già attivi numerosi whorkshop, talk e mostre, ma è nelle prossime settimane che tutti i padiglioni saranno completamente operativi e inizieranno ognuno la propria programmazione delle attività.

di Simone Zeni
Fonte: http://milano.mentelocale.it/64681-milano-expo-2015-viaggio-padiglioni-cosa-vedere-cosa-non-va/

06 mercoledì Mag 2015

semi-palma-olioSalute e nutrizione, ambiente e foreste. Tutto quello che c’è da sapere sull’olio di palma, l’ingrediente più diffuso e controverso del momento.

Le importazioni di olio di palma in Italia hanno raggiunto un record storico nel 2014, registrando un aumento del 19 per cento rispetto all’anno precedente: 1,7 miliardi di chilogrammi. Un’invasione incomprensibile secondo Coldiretti (Confederazione nazionale dei coltivatori diretti) visto che il nostro Paese è la patria dell’olio extravergine di oliva e della dieta mediterranea.

Al di là del made in Italy, i dubbi dei consumatori legati alla diffusione dell’olio di palma sono sia di natura ambientale che nutrizionale. L’aumento esponenziale delle piantagioni sta alimentando la deforestazione in molte aree tropicali della Terra e gli studi scientifici sulle caratteristiche nutrizionali di questo olio vegetale sono contradditori. Proviamo a fare un po’ di chiarezza.

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COSA C’ENTRA L’OLIO DI PALMA CON LE FORESTE
È l’olio vegetale più usato al mondo. L’aumento del suo utilizzo nel settore alimentare ha causato molti problemi ambientali. Negli ultimi anni, infatti, il numero (e quindi l’estensione) delle piantagioni è cresciuto in modo esponenziale, a tutto danno delle foreste tropicali.Questo fenomeno si è sviluppato soprattutto in Indonesia e Malesia che, insieme, esportano circa il 90 per cento di tutto l’olio di palma presente sul mercato globale. Per cercare di arginare o quantomeno affrontare il problema, nel 2004 alcune aziende produttrici insieme a ong ambientaliste si sono sedute intorno alla Tavola rotonda per l’olio di palma sostenibile (Roundtable on sustainable palm oil, Rspo) per cercare di dar vita a uno standard ambientale minimo per la coltivazione della palma e porre un freno alla deforestazione e alla perdita di biodiversità.

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I lavori hanno portato alla stesura di otto principi da seguire e all’importazione in Europa del primo olio di palma certificato nel 2008, mentre nel 2012 circa il 14 per cento di tutto l’olio prodotto (oltre 54 milioni di tonnellate) portava il logo Rspo. Non tutti sono rimasti soddisfatti dai risultati della tavola rotonda, come sottolineato dal Wwf e da altre ong. Ci sono molti punti che devono essere migliorati, come quello sui pesticidi. Diserbanti e altre sostanze chimiche pericolose, infatti, continuano a essere utilizzati nelle piantagioni e non vige alcun controllo sulle emissioni di CO2 in atmosfera.

Per continuare a innovare e migliorare la certificazione Rspo e includere parametri che rendano le piantagioni e l’olio di palma davvero sostenibili, Wwf, Greenpeace, Rainforest Action Network e altre organizzazioni hanno dato vita al Palm oil innovation group (Poig), un gruppo di pressione con l’obiettivo di spingere governi e imprenditori a migliorare le leggi in vigore e le condizioni di lavoro e di sfruttamento delle risorse naturali. Perché l’unico, vero scopo è difendere i polmoni del pianeta: le foreste tropicali. Il consiglio più valido per i consumatori, dunque, è quello di cercare in etichetta i loghi e la certificazione Rspo che attestino la provenienza da gestione quantomeno responsabile dell’olio di palma contenuto nel prodotto.

L’OLIO DI PALMA DAL PUNTO DI VISTA NUTRIZIONALE

Da più parti vengono mosse critiche a questo ingrediente, accusato di essere largamente utilizzato dall’industria nonostante presenti un tenore di grassi saturi superiore a quello di molti altri oli. Ma l’olio di palma è dannoso per la salute? Per prima cosa va precisato che i grassi saturi sono ritenuti responsabili dell’insorgenza di malattie cardiovascolari, ma non sono tutti uguali. Si distinguono in saturi a catena corta (protettivi), media (neutri) e lunga (dannosi). Sono proprio questi ultimi ad aumentare il rischio di sviluppare ipertensione arteriosa, arteriosclerosi e colesterolemia. L’olio di palma, in effetti, contiene abbondante acido palmitico saturo a catena lunga, ma questa quota di grassi dannosi è affiancata da ben il 51,5 per cento di acidi grassi insaturi protettivi, cioè da circa il 39 per cento di monoinsaturi (acido oleico, tipico dell’olio di oliva) e dal 12 per cento di polinsaturi, soprattutto linoleico. Per fare un paragone, si pensi che il burro contiene solo il 21,6 per cento di acido palmitico e possiede gli acidi laurico e miristico, saturi a catena media, quindi neutri rispetto al rischio vascolare; più l’acido butirrico, a catena corta, che pur essendo saturo rientra tra i grassi protettivi. Ma è anche vero che il burro ha solo la metà (26,5 per cento) degli acidi grassi protettivi monoinsaturi dell’olio di palma (fonte Nico Valerio). L’olio di palma dunque, anche se contiene abbondante acido palmitico, grazie alla sua composizione complessiva, e quando non è idrogenato, non aumenterebbe il colesterolo totale. L’idrogenazione è quel processo in base al quale l’olio assume una consistenza solida e diventa più ricco di grassi saturi; l’olio di palma ha per sua natura una consistenza semisolida che ha l’effetto di rendere naturalmente cremosi i prodotti, per cui spesso non viene idrogenato. Allo stato naturale, grezzo, è inoltre ricco di vitamine, carotenoidi e polifenoli antiossidanti. I più recenti dati nutrizionali relativi a questo ingrediente rivelano che in cottura si comporta meglio dell’olio di semi e del burro perché è un grasso stabile alle alte temperature, anche alla frittura, e all’ossidazione. E allora perché il Consiglio superiore della sanità del Belgio raccomanda di limitarne l’impiego e l’assunzione per via dell’alto contenuto di acidi grassi saturi? Perché gli studi scientifici e nutrizionali sull’olio di palma sono controversi, danno risultati contradditori e non sono paragonabili tra loro in quanto non sempre riportano con precisione qual è la forma in cui è stato analizzato: se integrale, raffinato o frazionato. La sua migliore prestazione nutrizionale, infatti, l’olio di palma la dà quando è integrale, perché da grezzo è ricco di beta-carotene, di alfa-carotene e di vitamina E alfa-tocoferolo. Il prodotto raffinato, il più utilizzato dall’industria alimentare, offre molto poche delle proprietà dell’olio grezzo. Altra problematica legata all’olio di palma è quella legata alla contaminazione da residui di sostanze chimiche tossiche. L’olio di palma viene coltivato in Paesi che consentono ancora l’impiego di sostanze che in Italia e in Europa sono vietate, come ad esempio il ddt. Dai controlli effettuali finora non sono mai stati riscontrati livelli di residui superiori a quelli consentiti per legge, ma è possibile che i bambini possano essere più esposti degli adulti al cosiddetto “effetto accumulo” da pesticidi.