25 lunedì Mar 2013

Trappole Mentali: l’illusione di essere sempre obiettivi

mongolfiera2I nostri comportamenti, le nostre attitudini, decisioni, relazioni interpersonali, dipendono in buona parte da come comunichiamo con noi stessi. Lo facciamo in continuazione, sia a livello superficiale, rimuginando parole altrui o che vorremmo aver detto, sia a livello più profondo,  dando delle interpretazioni alle nostre esperienze. In sintesi, attraverso l’educazione ricevuta, le informazioni elaborate dalle relazioni interpersonali, le riflessioni sui nostri successi o fallimenti e una serie di altre informazioni vagliate come attendibili, ci formiamo  un’idea sulla realtà e sul come “utilizzarla” al meglio. Un modello di riferimento del quale molto spesso conosciamo ben poco.  Una mappa, che non solo contiene le “istruzioni per l’uso” del mondo, ma anche valutazioni condizionanti su noi stessi e sulle nostre capacità/possibilità  di realizzarci. E visto che da questa rappresentazione, comprensiva di convinzioni sul mondo, sugli altri e sulle nostre possibilità di “farcela”, dipende l’esito globale della nostra vita, dovrebbe essere prioritario per ognuno, valutarne veridicità e funzionalità. Insomma, sarebbe auspicabile non solo capire quali convinzioni animano i nostri comportamenti e decisioni, ma anche sottoporre le stesse a una verifica, per capire se le nostre scelte comportamentali appoggiano su basi sicure o sono dettate da deduzioni arbitrarie, o percezioni sfalsate dall’emotività.

Quante volte vediamo amici che vivono una vita frustrata, perché vittime di convinzioni limitanti. Quante volte abbiamo assistito al rompersi di rapporti, per reazioni simmetriche causate da cose non dette o non spiegate o per supposizioni non verificate. Quante vote abbiamo visto amici che rinunciavano a sogni coltivati per una vita, solo perché offesi da un’aspettativa delusa. In verità dietro a comportamenti, pensieri, decisioni che fanno soffrire, ci sono molto spesso modalità comunicative distorte. Tutto questo è molto facile notarlo negli altri, molto più difficile in noi stessi. In effetti nessuno ci insegna a dubitare delle nostre percezioni. Nessuno ci insegna come capire quando il difetto, come si suole dire, sta nel manico. E allora come uscire dal labirinto?

Uno psicologo americano tra i più noti di sempre, Milton Erickson, diventato poi un punto di riferimento per moltissime discipline che studiano la comunicazione, elaborò, negli anni ’60, un approccio strategico – in larga parte mutuato dalla maieutica socratica – per aiutare i pazienti a uscire dalle proprie “trappole mentali”. La metodica, diventata ormai una base condivisa dagli “esperti” di psicologia e comunicazione, consiste semplicemente nel porre a se stessi o ad altri, delle domande specifiche. Quesiti che possano riportare alcune convinzioni, credute verità assolute, sul piano delle opinioni o congetture  personali, aprendo la strada a nuove interpretazioni degli eventi.

Domande e immaginazione: una “ricetta” pratica e veloce per uscire dalle proprie gabbie mentali

Quando ci “blocchiamo”, deprimiamo, offendiamo, o semplicemente ci limitiamo nel vedere le possibilità di scelta che avremmo a disposizione, senza rendercene conto, obbediamo a delle convinzioni limitanti  che ci pilotano in automatico. Il primo passo, quindi, da fare in questi casi, è  tentare di scoprire se, rispetto a una determinata situazione vissuta come problematica,  non siamo noi a creare il problema. In effetti quando si entra in uno stato d’animo vittimistico, depressivo o rinunciatario, non solo non si è consapevoli di averlo scelto tra tante opzioni a disposizione, ma si tende anche a pensare che quella sia l’unica reazione possibile. La prima domanda, che potrà quindi scardinare qualsiasi “impianto” autolesionistico di questo tipo, dovrà proprio riguardare la nostra reazione o la motivazione che, per noi, “giustifica” quella reazione. Per resistere alla “prova verità”, la nostra reazione dovrà essere universalmente (ovvero per tutti) e necessariamente (ovvero in ogni caso) l’unica possibile. Facciamo un esempio, prima prendendo in esame una situazione nella quale il limite supposto è oggettivamente reale e poi altre nelle quali il limite è solo il frutto di “congetture” personali.

E’ necessariamente (in ogni caso e contesto) e universalmente (per chiunque) vero che per esercitare, legalmente, come dentista in Italia si debba avere una laurea? Sì lo è. Limite oggettivo, problema reale, per chi volesse fare il dentista senza avere una laurea.

Immaginiamo invece una banale situazione di questo tipo: abbiamo appena chiamato un’amica per chiedere un consiglio, venendo liquidati velocemente senza spiegazioni. Non solo ci siamo rimasti male, ma abbiamo iniziato a “farci del male” con considerazioni polemiche nei confronti dell’amica – del tipo: “Io non mi comporterei mai così con lei, senza neanche una spiegazione” – o con pensieri autolesionisti, come: “E’ arrabbiata con me per qualche motivo”, o peggio ancora giudizi generici del tipo: “Quando hai bisogno di qualcuno spariscono tutti”.

Come potremmo intervenire per “illuminare” una percezione così, univoca, vittimistica e autolesionista?

Le domande da farsi, secondo i paradigmi di necessità e universalità, potrebbero essere moltissime. Facciamo alcuni esempi, immaginando un dialogo che verosimilmente potrebbe aver luogo tra un esperto e un “paziente”, ma che evidentemente potremmo anche avere con noi stessi.

D:“E’ necessariamente vero che un’amica, per essere tale, debba essere a disposizione sempre e comunque?

R: “No in effetti no, però poteva almeno spiegarmi perché non poteva”.

D: “E’ necessariamente vero che una persona possa sempre dare spiegazioni al telefono?

R : No, probabilmente no

Qui si rende necessario uno “sforzo creativo” per immaginare delle alternative

D : In quali situazioni per esempio, anche una persona cara, potrebbe essere sbrigativa al telefono, senza dare spiegazioni?

R: “Ma non saprei, potrebbe avere davanti una persona a cui non  vuole far sapere i fatti propri, o magari potrebbe essere turbata per qualcosa che le è appena successo”. 

E così via. Cosa abbiamo fatto in questa ipotesi di dialogo tra due persone o con se stessi? Non abbiamo fatto altro che minare le certezze che portavano ad una sola ed unica possibile interpretazione di quanto accaduto. Abbiamo poi messo in evidenza che le fantasie vittimistiche attribuite a quella situazione, fino a prova contraria, erano del tutto soggettive. Abbiamo infine reso evidente un concetto fondamentale: che è perlomeno “pretenzioso” pensare di essere necessariamente la causa dei comportamenti (anche spiacevoli) degli altri. Gli altri possono avere delle loro ragioni che non hanno nulla a che fare con noi. 

Insomma, quanti limiti, ritenuti oggettivi, sono solo il frutto di percezioni distorte? Quanti giudizi affrettati sono solo il risultato di nostre interpretazioni arbitrarie? Ognuno può mettere a confronto le proprie convinzioni e inoltrarsi in un utile processo di “disvelamento”.

E’ necessariamente vero che sono negato/a per quel lavoro, sport o prestazione, solo perché  il primo approccio non è stato dei migliori?

E’ necessariamente vero che il mio partner non mi ama perché non “intuisce” i miei bisogni?

E’ necessariamente vero che non potrò mai fare il cantante professionista perché non ho “amicizie” in quel settore?

Domande fondamentali, per scoprire che, nella stragrande maggioranza dei casi, siamo noi a esserci posti dei limiti o ad aver interpretato in modo problematico dei fatti che di per sé non significavano nulla di preciso e definitivo.

Per concludere è doveroso dire che comunque il farsi delle domande, può essere utile per superare ostacoli “immaginati”,  ma non per produrre “miracoli” dal nulla. Potremmo in effetti scoprire che certi obbiettivi,  pur non essendoci preclusi a priori, richiedono comunque un serio percorso di studio o di apprendistato. Ma comunque avremmo già in parte superato il problema , passando da un problema di identità a un problema di competenze. Insomma niente congiure contro di noi, solo il bisogno di imparare e fare, umilmente, esperienza.

 

 

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