Archivio dell'autore: admin

05 giovedì Nov 2015

118314_img_newsSicuramente uno dei più spettacolari paesaggi rupestri d’Italia che testimonia l’antico rapporto tra natura e uomo, si trova in Basilicata, a Matera a pochi chilometri di distanza dal confine con la Puglia. E’ il Parco Regionale Archeologico Storico Naturale delle Chiese Rupestri del Materano, più semplicemente detto Parco della Murgia Materana (www.parcomurgia.it). Un paradiso per i bird-watchers, i più fortunati dei quali hanno l’opportunità di osservare specie come il biancone, il nibbio, il lanario, il capovaccaio. Altri rapaci come il falco grillaio (Falco naumanni), vivono affianco all’uomo e nidificano sotto i tetti delle case abbandonate dei Sassi di Matera o sotto le tegole dell’Abbazia Benedettina di Montescaglioso. Gli amanti di storia e archeologia nel Parco delle Chiese Rupestri trovano invece circa centocinquanta siti di culto compresi in un lasso temporale che dall’alto medioevo giunge fino al secolo XIX, generalmente ad aula unica oppure a tre o due navate.

Fonte: ADN Kronos

05 giovedì Nov 2015

genova_alluvione_inf-ksJE--1280x960@WebOltre 650 milioni, immediatamente disponibili, per 33 interventi urgenti contro il rischio idrogeologico. Oggi, a Palazzo Chigi, sono stati sottoscritti da governo e Enti locali gliaccordi di programma quadro per l’assegnazione dei fondi previsti dalla prima parte del Piano contro il dissesto idrogeologico nelle aree metropolitane.

Alla firma erano presenti il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti, il coordinatore di #italiasicura Mauro Grassi e i rappresentanti delle Regioni (Emilia Romagna, Abruzzo, Liguria, Lombardia, Sardegna, Veneto e Toscana) e delle città di Milano, Genova, Bologna, Venezia e Firenze.

Presenti anche il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi e il sindaco di Firenze Dario Nardella, nel giorno in cui ricorre l’anniversario dell’alluvione che il 4 novembre 1966 colpì il capoluogo toscano.

“Credo che questo sia un segnale molto forte e molto serio contro il dissesto”, ha rimarcato il ministro Galletti. “Questo è il primo atto, faticosissimo dal punto di vista amministrativo. Abbiamo dovuto fare una ricognizione che ci permetterà tempi più rapidi nelle prossime azioni: abbiamo fatto una mappatura seria di tutte le emergenze sul territorio e le abbiamo messe in ordine di priorità con un criterio di pericolosità e uno relativo allo stato di avanzamento della progettazione. Alla fine di questo lavoro firmiamo accordi di programma con 7 Regioni per 653 milioni di euro immediatamente spendibili che vanno a finanziare 33 interventi”, ha detto il ministro. In particolare, si legge sul sito #italiasicura, si tratta di 33 cantieri per opere contro le alluvioni nelle aree metropolitane.

Non solo. “Credo che saremo in grado con i fondi di sviluppo europei di finanziare una tranche di interventi nei prossimi mesi – ha aggiunto – Abbiamo cominciato un percorso”. Nel dettaglio delle risorse messe a disposizione, Galletti ha parlato di 653 milioni cui si aggiungono altri 150 cofinanziati dalle Regioni per un totale di circa 800 milioni di euro. Così ripartiti: “54 milioni all’Abruzzo, 43 all’Emilia Romagna, 315 alla Liguria, 145,6 alla Lombardia, 25,3 alla Sardegna, 106,6 alla Toscana e 109,7 al Veneto”. Alla firma degli accordi di programma a Palazzo Chigi era presente anche ilsottosegretario alla Presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti che ha sottolineato come sia “decisivo per tutte le istituzioni fronteggiare il rischio idrogeologico”.

Fonte: ADN Kronos

05 giovedì Nov 2015

Icsi‘Ringiovanire’ le ovaie per tentare di realizzare il sogno di una gravidanza, senza ricorrere alla fecondazione eterologa, quella che richiede l’uso di gameti esterni alla coppia. Una sorta di ‘ultimo tentativo’ prima dell’ovodonazione, soprattutto per le donne più avanti con gli anni, che viene effettuato in forma sperimentale e gratuita dalle cliniche Ivi e dall’Hospital La Fe di Valencia. Con i dati raccolti si sta portando avanti uno studio clinico che sarà pubblicato per documentare l’efficacia della tecnica.
“Sono tre in particolare – spiega all’Adnkronos Salute Daniela Galliano, direttrice del centro Ivi di Roma – le terapie più innovative allo studio: il trapianto di cellule staminali ovariche (Scot), la frammentazione ovarica per l’attivazione follicolare (Offa) e Augment, che mira proprio a ringiovanire gli ovuli”.

Gli ultimi dati ufficiali indicano che è in crescita il numero di donne italiane che ricorrono a trattamenti medici per poter avere un figlio: 54.000 (+77% in 7 anni) nel 2012. In aumento di ben il 168% invece le nascite ottenute a seguito di procreazione medicalmente assistita fra il 2005 e il 2012. E’ noto che il livello di fertilità femminile si riduce drasticamente e in modo più che lineare una volta superati i 30 anni di età, arrivando ad azzerarsi praticamente poco dopo i 40 anni. “E’ proprio attorno a questa età che le coppie devono ricorrere alla fecondazione eterologa per coronare il sogno di un figlio, ma prima c’è un tentativo che si può fare per aumentare la qualità degli ovociti della donna”, evidenzia Galliano.

Per le donne che vogliono essere madri e non riescono a farlo naturalmente “esistono trattamenti di fertilità assistita – sottolinea l’esperta – come la Fiv (fecondazione in vitro), che richiede la stimolazione delle ovaie con ormoni per ottenere ovuli. Tuttavia ci sono molte donne che a causa dell’età, della menopausa precoce o perché non riescono ad avere una risposta adeguata ai trattamenti ormonali non producono abbastanza ovociti per la fecondazione in vitro e hanno anche bassi tassi di gravidanza. Oggi non esiste una soluzione per la bassa risposta ovarica, anche se è un problema comune: da qui l’importanza della ricerca di nuovi trattamenti volti a ringiovanire le ovaie con l’obiettivo finale di rendere queste pazienti madri con i propri ovuli, vale a dire senza dover ricorrere alla donazione di ovociti”.

In cosa consistono le differenti opzioni terapeutiche? “L’obiettivo degli studi sul trapianto di cellule staminali ovariche (Scot) e sulla frammentazione ovarica per l’attivazione follicolare (Offa) – spiega la ginecologa – è quello di favorire la risposta ovarica al trattamento ormonale della Fiv incrementando la quantità dei follicoli mentreAugument vuole migliorare la qualità degli embrioni”.

L’attivazione follicolare nelle pazienti con bassa risposta ovarica attraverso la frammentazione del tessuto ovarico “consiste nel ‘preparare’ l’ovaio prima di realizzare un ciclo di Fiv. Per fare questo, si estrae un pezzo di corteccia ovarica mediante laparoscopia e si frammenta. La frammentazione favorisce la crescita dei follicoli (ovociti immaturi) che in circostanze normali sono ‘dormienti’ e così si ottimizza la riserva ovarica. In seguito, nello stesso atto chirurgico, si re-impiantano i frammenti di ovaio nella paziente. Il trapianto di cellule staminali comporta un procedimento di auto-trapianto di midollo osseo (ottenuto da cellule staminali madri del sangue periferico) per rigenerare l’ovaio ed è in grado di promuovere la crescita di follicoli che danno luogo alla formazione degli ovociti”.

C’è infine la tecnica chiamata ‘Augment’: “Gli embrioni generati a partire dagli ovuli di donne in età avanzata – spiega Galliano – oltre a presentare in percentuale molto elevata anomalie cromosomiche, presentano anche una qualità scarsa. Per migliorarla si realizza una microiniezione autologa dei mitocondri (che sono responsabili della generazione dell’energia richiesta dalle cellule) di cellule staminali madri ovariche nello stesso momento in cui viene fecondato l’ovulo”.

I mitocondri sono dunque “una sorta di ‘terzo attore’ al momento della fecondazione in vitro. Successivamente si possono impiegare tecniche di screening delle anomalie cromosomiche che all’Ivi vengono in ogni caso proposte anche associate a procedimenti standard come la Fiv”.

Ecco i risultati a oggi: 11 pazienti hanno realizzato il trapianto ‘Scot’, 6 di loro sono arrivate al ciclo di Fiv e due hanno raggiunto la gravidanza (una in forma spontanea) . Sono state trattate 4 pazienti con Offa e una di loro è rimasta incinta. Precedenti esperienze sviluppate in altri centri hanno invece portato a compimento 14 nascite di bambini sani con Augment. “Nei prossimi mesi avremo più dati a disposizione per pubblicare lo studio, per il quale stiamo offrendo gratuitamente questi trattamenti alle pazienti fino ai 42 anni di età”, conclude l’esperta.

Fonte: ADN Kronos Salute

07 mercoledì Ott 2015

climaitaliaIl 2014 è stato l‘anno più caldo dal 1880 ad oggi, sia su scala globale che Italia, dove le temperature medie risultano le più elevate tra quelle registrate a partire dal 1961. Ma non è tutto: nei prossimi 100 anni i modelli climatici prevedono per il nostro Paese un aumentodella temperatura compreso tra gli 1,8 e i 5,4 gradi. A fotografare la situazione sono due rapporti dell’Ispra, da oggi disponibili online sul sito dell’Istituto, che illustrano lo stato, le tendenze e le previsioni del clima in Italia. Ad entrambi i lavori hanno contribuito, tra gli altri, le Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente e il Servizio Meteorologico dell’Aeronautica Militare.

Il primo dei due rapporti, la decima edizione de “Gli indicatori del clima in Italia nel 2014”, illustra l’andamento del clima nel corso del 2014 e aggiorna le stime delle variazioni climatiche negli ultimi decenni in Italia. Il Report si basa in gran parte su dati derivati dal Sistema nazionale per la raccolta, l’elaborazione e la diffusione di dati Climatologici di Interesse Ambientale (Scia), realizzato dall’Ispra in collaborazione e con i dati degli organismi titolari di molte delle principali reti di osservazione presenti sul territorio nazionale. Ecco i principali risultati.

Temperature:
In Italia, il valore della temperatura media nel 2014 è stato il più elevato dell’intera serie dal 1961, ben superiore ai valori del 1994 e del 2003 (+1.57°C) che avevano segnato i record precedenti. In particolare, l’anomalia media annuale della temperatura minima è stata di +1.72°C, quasi 0.5°C in più del precedente record del 1994. Nel 2014, si registra inoltre il numero più basso di “giorni con gelo” e di “notti fredde” dell’intera serie. Il numero medio di “notti tropicali”, invece, è stato solo leggermente superiore al valore normale, in corrispondenza di una stagione estiva non particolarmente calda. In sintesi, il record della temperatura media annuale è dovuto più alle minime che alle massime e più ad autunno, inverno e primavera che all’estate. Distinguendo tra diverse aree geografiche, l’anomalia della temperatura media annuale è stata in media di +1.93°C al Nord, +1.63 al Centro e +1.24°C al Sud e sulle Isole. Tutti i mesi del 2014 sono stati più caldi della norma, ad eccezione di luglio ovunque, agosto solo al Nord e maggio solo al Sud e sulle Isole. Il mese più caldo rispetto alla norma è stato novembre, con un’anomalia media di +3.93°C al Nord, +3.43°C al Centro e +2.55°C al Sud e sulle Isole. Il mese relativamente più freddo rispetto alla norma è stato agosto al Nord (-0.29°C), luglio al Centro (-0.57°C) e maggio al Sud e sulle Isole (-0.20°C). Il carattere estremamente caldo del 2014 è confermato dalla temperatura superficiale dei mari italiani, dove sono state registrate anomalie molto elevate soprattutto negli ultimi quattro mesi dell’anno. Il 2014, con un’anomalia media di +0.99°C, si colloca al 2° posto dell’intera serie, dopo il 2012.

Precipitazioni:

Le precipitazioni cumulate annuali del 2014 in Italia sono state complessivamente superiori alla media climatologica del 13% circa. Il valore medio di anomalia annuale presenta sensibili differenze tra diverse aree del territorio italiano. Al Nord il 2014 è stato nettamente più piovoso della norma (+36%), al Centro moderatamente più piovoso della norma (+12%), al Sud e sulle Isole moderatamente meno piovoso della norma (-12%). Al Nord il 2014 si colloca al secondo posto tra gli anni più piovosi dell’intera serie, dopo il 1960. Al Nord il clima è stato più secco della norma da aprile a giugno, a settembre ed ottobre; è stato nettamente più piovoso della norma a gennaio, febbraio, luglio e novembre, mesi nei quali le precipitazioni cumulate sono state mediamente più del doppio della norma. La precipitazione massima giornaliera è stata registrata dalla stazione di Linguaglossa (CT, 590 m s.l.m.) in occasione dell’evento estremo del 5 novembre 2014: 330.4 mm.
Il secondo Rapporto dell’Ispra, “Il clima futuro in Italia: Analisi delle proiezioni dei modelli regionali”, presenta un’analisi delle previsioni del clima in Italia nel corso del XXI secolo, fornite dai modelli climatici impiegati nell’ambito di un programma di ricerca focalizzato sull’area del Mediterraneo (MedCordex). Il Rapporto prende in esame le proiezioni climatiche fornite da 4 modelli, allo scopo di esporre in sintesi gli elementi di conoscenza e le incertezze che riguardano le proiezioni del clima futuro in Italia nei due scenari più rappresentativi: uno ottimistico e uno pessimistico, come prospettati dall’Intergovernmental Panel for Climate Change (Ipcc), che ha recentemente ridefinito gli scenari futuri a scala globale, corrispondenti alle possibili evoluzioni delle diverse componenti (emissioni di gas serra, inquinanti e uso del suolo) che condizioneranno il clima nel corso del XXI secolo.

Temperatura:

I modelli concordano nel prevedere un riscaldamento piuttosto costante nel tempo: nel corso di un secolo, si prevede un aumento della temperatura media in Italia compreso tra 1.8 e 3.1 °C nello scenario ottimistico e tra 3.5 e 5.4 °C in quello pessimistico. Il previsto aumento della temperatura media è attribuibile in modo più o meno equivalente sia all’aumento delle temperature massime diurne che delle temperature minime notturne. Le variazioni previste dai modelli sono piuttosto uniformi su tutto il territorio nazionale; distinguendo tra le diverse stagioni, l’aumento della temperatura più marcato si prevede in estate, con variazioni a fine secolo comprese tra 2.5 e 3.6°C (scenario ottimistico) e tra 4.2 e 7.0°C (scenario pessimistico). Gli indici degli estremi di temperatura mostrano variazioni ugualmente importanti e significative. Tutti i modelli sono concordi nell’indicare una riduzione dei giorni con gelo e un aumento di notti tropicali, giorni estivi e onde di calore, ma con discrepanze talvolta significative sull’entità delle variazioni. Le notti tropicali sono previste in consistente aumento: in circa un secolo, se ne prevede un aumento compreso tra 14 a 35 giorni l’anno (scenario ottimistico) e tra 23 e 59 giorni l’anno (scenario pessimistico). Analogamente, i giorni con gelo sono previsti in consistente diminuzione: con una riduzione media nazionale compresa tra -10 e -27 giorni l’anno nello scenario roseo e tra -39 e -18 giorni l’anno nello scenario più nero. Nel contempo, si prevede un marcato aumento dei giorni estivi (compreso tra 19 e 35 giorni in uno scenario ottimistico e tra 37 e 56 in quello meno roseo) e delle onde di calore.

Precipitazioni:

Le proiezioni delle precipitazioni sono molto più incerte di quelle della temperatura e nei due scenari non si possono distinguere con altrettanta chiarezza. Considerando la media nazionale della precipitazione cumulata annuale, nello scenario ottimistico, tre modelli su quattro prevedono in un secolo una debole diminuzione e un modello un debole aumento delle precipitazioni. Complessivamente, le variazioni previste al 2061-2090 sono comprese tra una diminuzione di circa l’8% e un aumento del 5% circa. Nello scenario pessimistico, tale intervallo si allarga (risultando compreso tra -15% e +2%) e la media tra i modelli si sposta nel senso di una riduzione delle precipitazioni. Anche la distribuzione spaziale delle variazioni previste è molto diversificata da un modello all’altro. Nell’insieme, emerge una indicazione che dalla riduzione delle precipitazioni sarebbero più probabilmente esentate le regioni nord-orientali. I valori medi nazionali risultano prevalentemente in modesta diminuzione in primavera, estate e autunno, e in modesto aumento in inverno. Localmente, la variazione della precipitazione cumulata assume valori di rilievo, fino a punte di riduzione di 150-200 mm in primavera o in estate, e di aumento di 100–150 mm in inverno. Diversamente dalla temperatura, la distribuzione dei valori di precipitazione non presenta differenze molto marcate tra i due scenari. Le proiezioni di alcuni indici rappresentativi della frequenza, dell’intensità e degli estremi di precipitazione indicano una futura, progressiva concentrazione delle precipitazioni in eventi più intensi e meno frequenti. Ad esempio, la variazione più consistente della precipitazione massima giornaliera è dell’ordine di 50 mm, a fronte di valori attualmente osservati dell’ordine di 300-400 mm. Infine, l’analisi dell’indice “giorni secchi consecutivi” indica un probabile aumento della durata dei periodi di siccità su quasi tutto il territorio nazionale, con aumenti più marcati nello scenario pessimistico e al Sud e sulle Isole (fino a +35 giorni in un secolo).

Fonte:www.galileonet.it
Riferimenti: Ispra 

05 lunedì Ott 2015

lupo3È un animale affascinante il lupo e lungo questo trekking è possibile (anche se non facile) avvistare gli esemplari che hanno ripopolato due parchi meravigliosi: quello delle Alpi Marittime e del Mercantour.

Il lupo (Canis lupus italicus) era scomparso dall’arco alpino all’inizio del Novecento.
Alla fine degli anni‘80 invece, alcuni esemplari provenienti dall’Appennino abruzzese hanno iniziato a spostarsi dal centro Italia verso nord, favoriti dall’abbondanza e dalla varietà di prede disponibili e dall’aumento delle superfici boschive. Così, nel 1992, dopo molti anni dalla loro scomparsa, i primi due lupi sono stati ufficialmente osservati e riconosciuti nelle Alpi Marittime francesi.

Da quel momento in poi il lupo ha ripreso a vivere nelle vallate alpine sudoccidentali. Non è stato quindi reintrodotto dall’uomo, ma si è trattato diuna colonizzazione spontanea dovuta al fatto che si sono ricreate le condizioni ambientali adatte per il ritorno naturale di questo grande predatore. Oggi sappiamo che nell’area delle Alpi Marittime franco-italiane vivono stabilmente 20-25 lupi, suddivisi in piccoli branchi.

Il lupo avverte la presenza dell’uomo a grande distanza, si muove principalmente di notte e si sposta tantissimo, anche di decine di chilometri in una sola notte. Non è semplice quindi per un escursionista avvistarlo, ma si possono facilmente trovarne tracce sul terreno, specie d’inverno, sulla neve: le orme sono molto simili a quelle di un grosso cane e gli escrementi risultano pieni di peli e frammenti ossei.

Per chi ama questo animale e vuole provare a scorgerlo nel suo habitat naturale, esiste un trekking davvero suggestivo che attraversa due parchi molto vasti: il Parco Naturale delle Alpi Marittime in Piemonte e il Parco del Mercantour in Francia. È un percorso ad anello che tocca ecosistemi intatti. Alla partenza e all’arrivo è possibile visitare due centri faunistici  specializzati nell’illustrare la vita, il comportamento e la storia del lupo. Il primo è il Centro faunistico di Entracque “Uomini e Lupi”, il secondo in territorio francese è il Centro faunistico “Alpa Loup” a Le Boreon.

Il trekking è molto lungo, si tratta di 75 km, di solito viene suddiviso in 10 tappe, comprende il passaggio su 5 spettacolari colli a 2400 m di quota toccando le caratteristiche Strade di Caccia Reali costruite per il re Vittorio Emanuele II. La partenza è da S.Giacomo di Entracque nel Parco della Alpi Marittime. Esiste anche una guida, molto ben fatta, che descrive con precisione tutte le tappe che possono anche essere percorsi da famiglie con bambini.

articolo scritto da Simona Denise Deiana per www.lifegate.it

02 venerdì Ott 2015

pelle1) Idratazione. Quando la pelle appare particolarmente secca e stanca è opportuno ricorrere a trattamenti locali a base di creme emollienti e idratanti che possono portare alla normalizzazione della barriera cutanea, fornendo al contempo protezione contro gli agenti esterni. “Oggi – spiega il dermatologo plastico Antonino Di Pietro – si utilizzano due tecniche strumentali, non invasive per studiare la pelle e valutare la “perdita di acqua transpidermica”. Le nuove formulazioni cosmetiche sono sempre più vicine a quella che è la composizione naturale dei lipidi cutanei deputati alla nostra difesa”.

2) Pulizia. Detergere in modo accurato la cute è sempre fondamentale, ma per farlo bene è importante utilizzare un detergente poco schiumogeno, per non alterare il film idrolipidico di superficie e non ridurre il suo effetto-barriera. “Detergenti troppo aggressivi – specifica Di Pietro – possono, infatti, impoverire il sottile film fatto di acqua e sebo che protegge la cute. La pelle diventa così esposta alle irritazioni e alle piccole infezioni”. È anche utile passare la sera, dopo la pulizia del viso, un cubetto di ghiaccio. Questa misura facilita la vasocostrizione, cioè il restringimento dei capillari, con successiva vasodilatazione reattiva, cioè il loro allargarsi. Azioni che faranno svolgere una fisiologica “ginnastica” ai capillari e favoriranno l’ossigenazione e il metabolismo cellulare.

3)Scrub. Perché la pelle possa essere adeguatamente idratata è necessario che sia anche levigata. “Per ottenere questo risultato – suggerisce Antonino Di Pietro – è utile fare regolarmente una o due volte a settimana uno scrub sia sul viso che sul corpo. Se in alcune zone si forma un particolare ispessimento del derma è anche consigliabile un peeling medico”.

4) Alimentazione. Nutrirsi bene e fare scorta di antiossidanti è la prima cura di bellezza che viene da dentro. Infatti lo stress ossidativo è una delle principali cause di invecchiamento cellulare. Tale processo è alla base di numerose patologie croniche degenerative (arteriosclerosi, diabete, tumori cutanei e di altri organi). Negli ultimi 50 anni si è osservato che l’alimentazione costituisce un fattore ambientale cruciale di protezione per tutte le malattie complesse e per l’invecchiamento. È stato così inequivocabilmente dimostrato che la “Dieta Mediterranea”, a base di frutta, verdura, legumi e cereali integrali, che includa pesce e riduca il consumo di grassi animali a favore dell’olio di oliva – ricca di antiossidanti – svolge un’azione protettiva per le varie malattie, da quelle cardiovascolari, al cancro nonché per l’invecchiamento. “E’ stato dimostrato – sottolinea ancora Di Pietro – che sostanze come resveratrolo (contenuto nel vino rosso), apigenina (contenuta nelle arance), licopene (contenuto nei pomodori), idrossitirosolo (contenuto nell’olio d’oliva) influenzando i complessi meccanismi che regolano sia la proliferazione che la differenziazione delle cellule dell’epidermide (cheratinociti), possono rappresentare un fattore di prevenzione nei confronti dei processi di invecchiamento, esercitando un potente effetto antiaging”. Inoltre svolgono un notevole effetto anti-infiammatorio contro patologie dermatologiche comuni quali psoriasi, fotoinvecchiamento e acne.

5) Nei. “Controllarli sempre è una buona regola – avverte Di Pietro -, soprattutto se sono marroncini e poco rilevati. Seguire sempre la regola dell’ABCDE, dove “A sta per asimmetria, B per bordi, C per colore, D per dimensione e E per età o evolutività. Se c’è un rapido aumento delle dimensioni, l’accentuarsi o l’estendersi della pigmentazione, il sanguinamento o l’ulcerazione spontanea di un neo, c’è pericolo che il neo si trasformi in melanoma. In questi casi è bene rivolgersi subito ad uno specialista dermatologo”.

6) Sole. Sono pochi i rischi se l’esposizione è ragionata e preceduta dall’applicazione ‘corretta’ di uno schermo solare. E’ fondamentale applicarlo spesso, in quantità adeguata e prima di 10 o 15 minuti dell’esposizione al sole, in modo che abbia il tempo di penetrare nella cute. Non solo schermi solari, ma anche da comuni indumenti, come una T-shirt di colore chiaro, perfetta quando il sole è a picco e la carnagione molto chiara o un tradizionale ombrellone. “Per gli schermi – specifica Di Pietro – oggi esiste solo l’imbarazzo della scelta. E il sole fa anche bene in caso di alcuni disturbi della pelle: acne, psoriasi, vitiligine, alcuni eczemi.” L’elioterapia è valida in questi casi come altre terapie, anzi consente la riduzione o addirittura la sospensione di quelle tradizionali.

7) Fotoprotezione. Particolare attenzione va prestata alla protezione della pelle dei bambini e delle donne in gravidanza. Le ustioni solari nell’infanzia sono associate ad un aumentato rischio di tumori cutanei in età adulta. Evitare quindi le esposizioni nelle ore più calde e nel caso usare una protezione elevata, almeno ftp15, rinnovando spesso l’applicazione. In gravidanza il sole può far peggiorare le macchie scure che compaiono spontanee sul volto. Inoltre il calore può dilatare i capillari aumentando il prurito gravidico oltre ad abbassare la pressione. Fondamentale applicare una crema idratante doposole per preservare l’elasticità cutanea.

8) Macchie. Prestare attenzione se compaiono con un aspetto o comportamento ‘sospetto’, siano bianche o scure. “In questi casi – specifica il prof. Di Pietro – è fondamentale rivolgersi subito allo specialista per trattarle. Attenzione poi alle creme profumate e ai farmaci foto sensibilizzanti”. Le macchie bianche compaiono sulla pelle di un italiano su due. Può trattarsi di vitiligine, che colpisce circa un milione di connazionali; o dermatite atopiche, nel 4-5% dei casi. Piccole macchie rotondeggianti compaiono nel 50% della popolazione a causa di un fungo che si nutre di cheratine.

9) Reazioni. Fare attenzione all’assunzione di farmaci che possono causare effetti indesiderati anche per associazione di molecole differenti. Ma attenzione anche ai cosmetici, prima causa di irritazione alla pelle.

10) Viso. “Tossina botulinica e filler per essere belli possono essere un prezzo un po’ alto da pagare, per attenuare o far scomparire rughe e inestetismi – osserva infine il dermatologo plastico Antonino Di Pietro -. Prestare attenzione e valutare attentamente le promesse di trattamenti “miracolosi” ma dalle innumerevole insidie e che possono avere conseguenze talvolta irrimediabili”.

Fonte: www.antoninodipietro.it

22 martedì Set 2015

vw-auto-golf-epa-1024x683Volkswagen ha ammesso di aver falsificato le emissioni inquinanti per eludere i controlli negli Stati Uniti. Il titolo crolla in borsa e sono in arrivo multe miliardarie.

Volkswagen, una delle più grandi aziende che producono automobili al mondo, ha truccato le emissioni inquinanti delle auto vendute negli Stati Uniti per eludere i test dell’Agenzia americana per la protezione dell’ambiente (Environmental protection agency, Epa). L’accusa, poi confermata dall’amministratore delegato della casa automobilistica tedesca Martin Winterkorn, era stata avanzata dalla stessa Epa e si riferisce alle vetture vendute oltreoceano dal 2009 al 2015.

Maggiolini, Golf, Jetta, Passat e Audi A3 montavano un software sulle centraline dei motori alimentati a diesel che ne falsificano al ribasso i risultati delle polveri sottili e della CO2. Le auto potevano arrivare a inquinare dalle dieci alle quaranta volte in più rispetto ai limiti previsti dalla legge. La truffa pare sia stata progettata solo per aumentare la potenza e le performance dei motori. Per ogni vettura – sarebbero circa 482mila quelle vendute in questi anni – ora la Volkswagen rischia 37.500 dollari di multa, per un totale di 18 miliardi di dollari.

Il titolo della Volkswagen ha perso fino a 23 punti percentuali sulla borsa di Francoforte nella sola giornata di lunedì 21 settembre, pari a circa 15,6 miliardi di euro andati in fumo in una giornata di contrattazioni. Winterkorn, alla guida dell’azienda dal 2007, si è detto “profondamente dispiaciuto” per aver infranto la fiducia dei suoi clienti e ha aggiunto che Volkswagen farà “tutto il necessario per rimediare al danno causato” da questo scandalo incredibile.

L’Epa ha ordinato il ritiro delle 482mila vetture truccate e ha fermato la vendita negli Stati Uniti dei cinque modelli che montano il motore “incriminato”, inclusi quelli a marchio Audi che fa sempre parte del gruppo Volkswagen. I problemi per la casa automobilistica che ha sede nella città tedesca di Wolfsburg, però, sono appena cominciati. Ora sembra che diverse associazioni dei consumatori vogliano muoversi per danni così come il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti e il governo tedesco che potrebbero aprire ulteriori indagini.

articolo scritto da Tommaso Perrone per LIFEGATE.IT

18 venerdì Set 2015

orso-polare-360x214Sta facendo rapidamente il giro del mondo, trasformandosi in un simbolo che dimostra la realtà (di cui c’è ancora chi stenta a credere) e l’urgenza dell’emergenza rappresentata dal global warming. La foto l’avrete vista tutti: si tratta di una femmina di orso polare emaciata, letteralmente pelle ed ossa, bagnata, infreddolita, e abbarbicata su quel rimane della banchina polare, divorata dal riscaldamento globale. L’autrice dello scatto, pubblicato lo scorso 20 agosto, è la fotografa Kerstin Langenberger, che spiega di aver catturato l’immagine nelle Svalbard, un arcipelago norvegese nel Mar Glaciale Artico, e di averla poi condivisa sul suo blog per testimoniare la triste situazione degli orsi polari, letteralmente affamati dallo scioglimento dei ghiacci.

Normalmente gli esperti considerano le Svalbard una zona relativamente tranquilla per questi animali, dove la loro popolazione è stabile se non addirittura in lento aumento. La situazione che si trova visitando l’arcipelago, racconta però la fotografa, sarebbe un’altra: ghiacci che ritirano a colpo d’occhio, e femmine affamate, ferite, con cuccioli che spesso non sopravvivono ai primi due anni di vita.

Se i maschi infatti trascorrono tutto l’anno sulla banchina polare, dove possono nutrirsi delle loro prede naturali, le foche, rimanendo così in perfetta salute, le femmine hanno spesso un altro destino. Recandosi sulla terra ferma per dare alla luce i cuccioli, spesso resterebbero bloccate a riva dal brusco ritirarsi del ghiacci nel periodo estivo, in un ambiente per loro estraneo, dove sono facilmente vittima della scarsità di cibo e di incidenti.

Per questo Langenberger ha deciso di postare la foto, che secondo la reporter rappresenta un monito dell’urgenza e della gravità della situazione, e delle conseguenze inevitabili che avrà lo scioglimento dei ghiacci dovuto al riscaldamento globale. Un messaggio importante, che non perderebbe la sua potenza anche se, come sottolineano alcuni esperti, la foto mostrasse in realtà qualcos’altro.

Penso che esisteranno sempre, in qualunque popolazione di animali, esemplari in cattive condizioni”, ha raccontato su Live Science Karyn Rode, biologa del U.S. Geological Survey di Anchorage, per spiegare perché ritiene la spiegazione di Langenberger fuorviante. “Può capitare a causa di una ferita, o perché l’esemplare è molto vecchio, e ha perso alcuni dei suoi canini”.

Gli orsi polari infatti sono grandi predatori privi di nemici naturali, e per questo nella maggioranza dei casi quando muoiono è per l’incapacità di procurarsi il cibo. I dati disponibili sulle 19 popolazioni di orsi polari del pianeta parlano in effetti di 3 in declino, 1 in aumento, 6 stabili (tra cui quella delle Svalbard), e 9 per cui mancano dati sufficienti.

Ciò non vuol dire però che la specie sia fuori pericolo. I dati di riferimento risalgono infatti agli anni ’70, un periodo in cui gli orsi polari erano stati portati sull’orlo dell’estinzione dalla caccia eccessiva. Nei decenni seguenti, con la messa al bando internazionale della caccia di questi animali, il numero di esemplari è quindi aumentato notevolmente in tutto il pianeta. Questo però non vuol dire che oggi se la stiano passando bene. La scomparsa dei ghiacci, che continuerà ad intensificarsi nei prossimi decenni a causa del crescente effetto del global warming, determinerà infatti una riduzione sempre più drastica del loro habitat, e secondo gli esperti questo avrà gravi conseguenze per tutte le popolazioni di orsi polari.

La spiegazione di Kerstin Langenberger quindi potrebbe forse essere fuorviante, ma questo non diminuisce l’importanza del messaggio che veicola.

articolo scritto da Simone Valesini per Galileo – giornale di scienza

14 lunedì Set 2015

20550-Behemoth_1A vincere il Green Drop Award è il documentario denuncia di Zhao Liang, che ritrae l’insostenibile peso della corsa sfrenata della Cina allo sviluppo.

Un vero girone dantesco quello raccontato nel documentario “Beixi Moshuo – Behemoth” di Zhao Liang, film in gara alla 72ma Mostra del Cinema di Venezia. È un film denuncia, dalle immagini evocative, a vincere la quarta edizione del Green Drop Award, premio assegnato al film che meglio ha interpretato i valori della sostenibilità ambientale.

Organizzato da Green Cross Italia, Ong fondata da Mikhail Gorbaciov, ha visto la partecipazione di una giuria d’eccezione presieduta daRemo Girone, che ha motivato la scelta in quanto il film cinese: “rappresenta una denuncia dello sviluppo insostenibile della Cina e delle società industrializzate”.

“Mi sono ispirato a Dante”, commenta il regista. “Nella Divina Commedia, Dante attraversa in sogno l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso. In Behemoth ho descritto un’enorme catena industriale, in cui i colori rosso, grigio e blu rappresentano rispettivamente i tre regni danteschi. Attraverso lo sguardo contemplativo del film, analizzo le condizioni di vita dei lavoratori e l’insensato sviluppo urbano. È la mia meditazione critica sulla civiltà moderna, in cui si accumula ricchezza mentre l’uomo perisce”.

E’ questo Behemoth, come conferma anche la giuria, nella sua motivazione: “Un documentario di denuncia sullo sviluppo insostenibile della Cina e delle società industrializzate. Gli uomini, le donne, l’ambiente, la natura sono rappresentati come sacrificio in nome di un progresso che, con un colpo di scena finale, si rivela inesistente. Nel viaggio dantesco simulato dal regista cinese non c’è salvezza, ma insegnamento morale, un monito per gli spettatori di ogni latitudine del globo”.

Perché il cinema è e dev’essere anche questo. Rappresentazione della realtà. Una realtà che spesso ci obbliga a fermarci a riflettere. “Questo film, non parla solo della Cina ma di tutti noi”, ha commentato Marco Gisotti, direttore del Green Drop Award. “Probabilmente ‘Behemoth’ è il film più politico di tutta la Mostra di quest’anno”.

articolo scritto da Rudi Bressa
http://www.lifegate.it/persone/news/green-drop-award-beixi-moshuo-venezia

14 lunedì Set 2015

aloeUna pianta dalle proprietà miracolose: questo sembrerebbe essere l‘aloe vera
panacea dei giorni moderni. Ilgel estratto dalle sue foglie è utilizzato quotidianamente da molte persone, per un mercato da 13 miliardi di dollari l’anno. Ma cosa sappiamo davvero di questa pianta miracolosa? Conosciamola meglio.

La pianta. L’aloe vera (Aloe barbadensis Miller) appartiene alla famiglia delle Aloeaceae. È una pianta succulenta che predilige i climi caldi e secchi. Le sue foglie, molto carnose, sono lanceolate con apice acuto, disposte a ciuffo e dotate di spine laterali. La loro lunghezza va da 40 a 60 cm. I fiori, disposti lungo un gambo che s’innalza al centro delle foglie, sono di colore giallo o rosso. Si riproduce con impollinazione incrociata (i fiori maschili e quelli femminili della stessa pianta non si incrociano mai tra loro).

Le origini e la distribuzione. La provenienza non è nota. Le prime piante risalgono a circa 19 milioni di anni fa: trovate in Africa del sud, per adattarsi alle mutevoli condizioni climatiche, si sarebbero poi diffuse a nord-est fino ad arrivare al Corno d’Africa. Da lì, grazie alla spinta evolutiva, hanno raggiunto e si sono sviluppate in molti nuovi habitat: Arabia, Madagascar, regioni desertiche, Messico, Moldavia, Santo Domingo, Argentina, Colombia, Cuba, Paraguay, Sudest Asiatico. Una popolazione di aloe vera selvatica però non è mai stata trovata e questo fa presupporre che in natura si sia estinta e la sua presenza abbondante in molte zone, sia dovuta a migliaia di anni di coltivazione. A dirlo è Nina Rønsted, specialista nell’evoluzione delle piante medicinali presso il Museo di storia naturale di Copenhagen in Danimarca che con altri colleghi, botanici europei e africani, ha collaborato nella realizzazione di un importante progetto, racconta il New Scientist, finalizzato alla ricostruzione dell’albero genealogico di questa pianta. Oggi l’aloe vera è coltivata in Africa, Australia, America, Russia e Giappone. In Europa si trovano estese coltivazioni in Spagna e in Italia, al sud anche se le dimensioni di queste ultime sono ancora limitate.

I composti e le proprietà. Nonostante le sue origini lontane nel tempo e la storia – che ne documenta l’uso come prodotto di bellezza da parte di Cleopatra e curativo da parte del chirurgo greco Dioscoride (autore del De Materia Medica) che la usò per curare tutti i problemi dei soldati dell’esercito di Nerone: dal mal di gola alle ulcerazioni dei genitali – lo studio sistematico e strutturato dell’aloe vera iniziò solo nel 1959 con Bill Coats, un farmacista texano.Dal punto di vista chimico contiene tre tipi di composti: gli zuccheri complessi (glucomannani e in particolare l’acemannano) presenti nel gel trasparente interno alla foglia; composti chimici legati a uno zucchero (gli antrachinoni, aloina in particolare) nella parte verde e coriacea della foglia e altre sostanze quali vitamine, aminoacidi, acidi organici, saponine e lignine, sali minerali, fosfolipidi (grassi) ed enzimi. Ai glucomannani sono riconosciuti effetti immunostimolanti mentre agliantrachinoni, proprietà lassative. Ma sono molte di più le presunte capacità attribuite all’aloe vera: cicatrizzante, rigenerante, antinfiammatoria, idratante, antipiretica, analgesica, batteriostatica, virostatica, fungicida, antistaminica, emostatica, disintossicante, antitumorale, disinfettante, emolliente.

L’uso. Le tante e potenziali capacità dell’aloe fanno sì che il suo utilizzo sia diffusissimo. Dalla cosmesi alla cura l’uso del gel dell’aloe vera è vastissimo: rimedio per problemi dermatologici, al trattamento di ustioni, come digestivo, crema lenitiva, idratante, solare, parte di detersivi, carta igienica e deodoranti. Sempre più frequentemente, la si ritrova poi polverizzata e aggiunto come integratore in alimenti come ad esempio lo yogurt. L’elenco è piuttosto lungo.

Prove a sostegni di efficacia. Ad oggi non ci sono sufficienti e robuste evidenze scientifiche a sostegno della sua efficacia. Due recenti revisioni sistematiche della letteratura scientifica – una effettuata per verificare le prove delle capacità di guarigione delle ferite acute (lacerazioni, ferite chirurgiche, ustioni e delle ferite croniche (ferite infette, ulcere venose) e l’altra per valutare l’efficacia nella prevenzione del trattamento delle flebiti (infiammazione della vena) nei pazienti ricoverati in ospedale in terapia somministrata per via venosa – non ne hanno confermato la reale efficacia.

Anche le sue capacità curative nei confronti di diversi tipi di tumori non sono scientificamente provate: ad oggi non esistono studi scientifici che documentano un ruolo certo dell’aloe vera nella prevenzione o nella cura del cancro anche se, come spiegano gli esperti dell’Associazione Italiana per la ricerca sul cancro (Airc), alcuni dei composti contenuti all’interno della pianta sono in fase di studio.

Perché ha così successo?. Le specie di aloe sono circa 500 – 200 quelle studiate da Rønsted e gli altri scienziati – e molte sono quelle che hanno all’interno delle loro foglie gel del tutto simile a quello dell’aloe vera. Secondo i ricercatori poi il 25% delle specie di aloe hanno un uso medicinale ma questo il più delle volte è conosciuto solo nel contesto in cui la specie viene coltivata, cresce ed è utilizzata, ovvero localmente. Perché però proprio l’Aloe Vera ha riscosso così successo? Per caso e a ragioni strettamente pratiche, secondo Rønsted: è facile da raccogliere, da coltivare e da trasportare e le piantine sono in grado di sopravvivere a lungo senza terra e acqua. Anche tagliate le foglie si mantengono fresche e sono utilizzabili per un lungo periodo di tempo.

Articolo scritto da Marina Vanzetta
http://www.galileonet.it/2015/07/cosa-sappiamo-sullaloe-vera-tra-scienza-e-leggenda/